Senza lavoro non c’è speranza, senza speranza non c’è voglia di vivere. Sono queste le ultime parole scritte dall’imprenditore di origini siciliane che la vigilia di Pasqua si è tolto la vita nell’appartamento in cui risiedeva, a Ferrara, in via Eridano. Un artigiano edile di 57 anni, schiacciato dalle difficoltà economiche generate da una crisi implacabile che per molti, in Italia, sembra senza via d’uscita. A trovare il suo corpo, impiccato, è stato il proprietario dell’immobile in cui risiedeva, giunto a riscuotere l’affitto. Il primo a chiamare la polizia, impegnata nella ricostruzione di tutti i particolari della vicenda, e a leggere il biglietto abbandonato a terra, ai piedi della salma: “Scusate ma senza lavoro si perde tutto, la dignità, l’amore di tutti. Alla fine si perde anche la speranza e senza speranza non c’è più la voglia di vivere”.

E’ un’altra vittima della crisi economica, l’imprenditore siciliano che si è suicidato a Ferrara. Come Edoardo Bongiorno, che il 2 aprile scorso, a 61 anni, si è ucciso nel suo albergo, a Lipari, chiedendo perdono alla moglie e alla figlia: “Perdonami Dio. Perdonatemi Isabella e Manuela”. Come Gianfranco Mazzariol, il ristoratore di Treviso che a 58 anni si è sparato col suo fucile da caccia perché i debiti l’avevano logorato. Sono tanti i volti di coloro che soccombono alla recessione, soffocati dalla mancanza di lavoro, dai debiti, dalle fatture da saldare e dalla vita, che costa troppo per potervi fare fronte dignitosamente.

Solo nel 2012 sono 89 le persone che si sono tolte la vita “perché senza lavoro non c’è speranza”. 89 i “suicidi per crisi”, insomma. Tra loro, spesso senza nome e senza un volto, c’è Giuseppe Campaniello, l’artigiano edile di Ozzano dell’Emilia che la mattina del 28 marzo 2012 ha parcheggiato la sua auto davanti alla sede dell’Agenzia delle Entrate di Bologna e si è dato alle fiamme, morendo pochi giorni dopo in ospedale, a Parma. Non ce la faceva a pagare le tasse, era oberato dai debiti contratti nei confronti dello Stato. Così ha chiesto scusa, e si è ucciso. E si è ucciso anche Piero Marchi, che a 48 anni si è impiccato nel retro del suo negozio, a Bologna, in via Duse, lasciando una moglie e due bambine piccole. Precipitando nello sgomento amici e parenti, tutta la città, che non immaginava quanto attanagliante potesse essere la morsa esercitata dalla crisi, quanta paura potesse fare a un padre di famiglia una cartella esattoriale da 27.000 euro, quando non ci sono i soldi per pagare

Anche Vittorio Galasso, 53 anni, titolare di una piccola impresa edile, si è suicidato. Viveva a Savona con la moglie, disoccupata, e i figli, 15 e 17 anni, e il suo stipendio non bastava più a pagare il mutuo della casa, le bollette. Perché le commesse mancavano, e non c’era lavoro. Un imprenditore riminese, invece, ha scelto di rapinare le banche per pagare bollette, debiti, e le spese della scuola dei figli, dopo che la sua piccola impresa era saltata per colpa della crisi. Un sessantenne, origini venezuelane ma da una vita residente a Cattolica, due figli di 5 e 11 anni, che ha cercato di dare una svolta alla sua esistenza mettendo a segno tre colpi a volto scoperto, armato di un taglierino, prima di essere arrestato. Il più emblematico nell’agenzia del Monte dei Paschi di Siena di Morciano dove si è fatto consegnare 8mila euro, e ai cassieri, lasciando la filiale, ha gridato: “i ladri siete voi.

Storie interrotte di tanti imprenditori che, per le associazioni di categoria, rappresentano un segnale chiaro: “Indicano che le cose peggiorano ogni giorno, e non ci sono spiragli”. Difficoltà nell’ottenere credito, difficoltà anche nel percepire i pagamenti a lavori fatti e le tasse, che crescono e vanno pagate. Anche se il lavoro manca e non ci sono aiuti sufficienti a tirare avanti in attesa che la situazione migliori. Il problema, spiega Giuseppe Vancini, segretario generale di Confartigianato, è che “con le vecchie regole non se ne esce. Serve una riforma profonda che per noi passa attraverso una vera e propria banca dell’artigianato, sul modello dell’Artigiancassa, finanziata da denaro pubblico e con un ruolo attivo di garanzia dei Confidi”. Una banca che assista le situazioni di precarietà, che esistono anche tra i liberi professionisti e dunque tra gli imprenditori, e poi anche un maggiore sostegno psicologico per chi è in difficoltà, anche se “prevenire è difficilissimo”. Perché chi si trova in condizioni economiche gravi, spesso “vive in condizioni di solitudine”. Come l’imprenditore siciliano che si è tolto la vita a Ferrara.

In Emilia Romagna, poi, ci ha pensato il terremoto ad aggravare la situazione. “Qui o si chiude o si muore – racconta chi nel ‘cratere’ cerca affannosamente di tenere aperta la propria attività, come Enea Gasperi, che a Medolla ha un’azienda e 10 operai – se lo Stato non ci darà una mano, beh, si fallisce”. E il fallimento, secondo gli esperti, ma anche secondo le associazioni di categoria che da tempo segnalano le difficoltà vissute da un intero comparto, può generare una disperazione tale da condurre, persino, “a gesti estremi”.

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