Gli oltre 150mila reperti del Museo Geologico Nazionale di Roma sono destinati, molto probabilmente, a non vedere mai la luce. A non essere mai esposti al pubblico, così come accade da 18 anni. Fino a un anno fa i reperti di inestimabile valore (minerali preziosi, marmi antichissimi, fossili di animali, piante, legni, microorganismi, ma anche scheletri umani delle ere più diverse e tanto altro ancora tra documenti e plastici) dell’ex polo museale di Largo Santa Susanna, erano solo in minima parte esposti in un museo vicino la stazione Termini, provvisorio e quasi mai aperto, la maggior parte delle collezioni, chiuse in centinaia di scatole di legno e messe in magazzino, in attesa che lo Stato ristrutturasse il palazzo dell’Ufficio geologico Nazionale. Ce ne eravamo occupati un anno fa proprio noi del Fatto. Un restauro del bellissimo palazzo liberty in centro partito nel 1995 e mai concluso. “Il ministero del Tesoro di Giulio Tremonti – racconta a ilfattoquotidiano.it Rita Giardi, ex dipendente del Servizio Geologico – ha pensato bene di inserire l’edificio in una complessa operazione di cartolarizzazione e quindi di venderlo per fare soldi, senza chiedersi: ‘Dove mettere tutti i reperti esposti al suo interno?’”. Oggi l’edificio di largo di Santa Susanna è di una società che fa capo alla Fintecna Spa (partecipata dallo stesso ministero del Tesoro) ed è vuoto da anni. Le collezioni sono finite in magazzino. “Dei 150 mila reperti, i soli 17 plastici che abbiamo: valgono 600 mila euro”, dichiara Emi Morroni a ilfattoquotidiano.it, direttore del dipartimento attività documentali dell’Ispra, l’istituto che oggi detiene il patrimonio (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). Le collezioni sono “migrate” da un anno circa in un altro magazzino dell’Ispra all’Eur, a via Brancati. Non sono esposti e non è chiaro come vengano conservati i reperti che rischiano di deteriorarsi irrimediabilmente di Paola Mentuccia

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