Il genoma è il patrimonio genetico conservato nel Dna dei cromosomi cellulari, caratteristico di ogni individuo e di ogni specie di vivente. Chimicamente è dato dalla sequenza dei nucleotidi, le unità che costituiscono il Dna. Da un certo punto di vista soltanto Iddio (se esiste) avrebbe il diritto legale di brevettare il genoma di qualunque organismo. In pratica il brevetto è consentito a chi fa una scoperta e ne sostiene le spese e questo rende brevettabili i genomi. Tra il 1990 e il 2003 fa un consorzio di istituzioni pubbliche di ricerca guidato dal National Human Genome Research Institute (NHGRI) degli Stati Uniti ingaggiò una vera e propria gara contro il colosso privato Celera Genomics di Craig Venter allo scopo di decodificare il genoma umano e pubblicarlo prima che Venter potesse brevettarlo. Una storia della decifrazione del genoma si può leggere su questo link. L’Italia, che inizialmente faceva parte del consorzio se ne ritirò per carenza di fondi.

Il consorzio pubblico vinse la gara e il genoma umano non è stato brevettato: problema risolto? Non proprio o non completamente: il genoma, come abbiamo detto, è una lunghissima sequenza di nucleotidi e di per se non è molto informativo: richiede studi complessi per l’identificazione di ogni singolo gene (il genoma umano ne contiene 30.000) nelle sue varianti sia fisiologiche che patologiche. Ogni studio successivo è quindi in teoria passibile di brevetto e alla fine del 2009 era stato brevettato, in una forma o in un’altra, circa un quarto dei geni umani. Da allora i brevetti sono aumentati e alcuni stimano che ne sia coperto l’intero genoma o quasi (mi scuso anticipatamente col lettore: non so se i links che allego a questo post siano fruibili gratuitamente; io usufruisco di abbonamenti sia personali che pagati dall’Università di Roma Sapienza e il mio computer li apre). Per chiarirsi con un esempio, è come se il consorzio internazionale avesse scoperto e pubblicato, rendendo impossibile il brevetto, un documento redatto in una lingua sconosciuta. Ogni ricercatore che abbia riconosciuto e tradotto una parola di quel documento può ancora brevettare la parola e la traduzione.

L’ufficio brevetti degli Stati Uniti (United States Patent and Trademark Office, USPTO), ha formalizzato le seguenti indicazioni: l’identificazione di una sequenza genetica da sola non è suscettibile di brevetto, ma l’isolamento di un gene dal resto del genoma è brevettabile se lo scopritore può dimostrare “una utilità specifica, sostanziale e credibile” per la sua scoperta. Ad esempio un ricercatore potrebbe brevettare il gene che ha identificato se dimostra che grazie a questa identificazione può costruire uno strumento (ad esempio) terapeutico, utile per curare qualche malattia genetica. Anche le applicazioni diagnostiche ammettevano la brevettazione, ma c’è una forte pressione da parte di istituzioni autorevoli come NIH e NHGRI perché ne siano escluse.

E’ lecito o non è lecito brevettare i geni dell’uomo? Nel 2010 l’American Civil Liberties Union vinse una causa contro la ditta Myriad Genetics che detiene il brevetto di due geni chiamati BRCA1 e BRCA2, che sono implicati in alcune forme di tumore della mammella; ma il ricorso è in atto. Io dico la mia opinione: l’intero problema è mal posto e richiede di essere riformulato. Purtroppo le norme legali vigenti, soprattutto negli Usa tendono ad oscurare e complicare la questione sostanziale. Se noi analizziamo le due possibili alternative brevetto si/brevetto no, ci accorgiamo immediatamente del fatto che le applicazioni remunerative sono prevalentemente nel campo della sanità e che in sostanza si tratta di decidere in che modo i cittadini devono sostenere il costo della ricerca genetica.

Se scegliamo “brevetto no” le industrie farmaceutiche e di diagnostici non saranno interessate a finanziare questa ricerca, il cui costo dovrà quindi ricadere sullo stato, cioè sulle tasse pagate dai cittadini. Se invece scegliamo “brevetto si” le industrie saranno ben contente di farsi carico dei costi della ricerca e ne faranno pagare ai cittadini i risultati, maggiorando i costi dei kit diagnostici o delle eventuali applicazioni terapeutiche. Secondo me “brevetto no” è più conveniente per il pubblico e per lo stato, ma su questo ciascuno avrà la sua opinione. Mi piacerebbe sentire l’opinione di tutti quei lettori che propagandano l’autofinanziamento della ricerca tramite i brevetti industriali (per poi magari lamentarsi di Big Pharma).

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