“Un buon paio di scarpe”.
Questa la risposta di Josef Koudelka a chi gli chiede quale sia la cosa più importante per un fotografo.
Questa, anche, la sua pratica quotidiana: camminare, andare, percorrere.
Traiettorie geografiche e mentali.
A Marsiglia, fino al 15 aprile, c’è una mostra che raccoglie i suoi ultimi 20 anni di passi e visioni, col titolo “Vestiges”.

Delfi, Grecia, 1991 - © Josef Koudelka / Magnum Photos

Koudelka è un ragazzo di 75 anni, insegue la libertà con un pizzico di anarchia e guarda male chi gli chiede spiegazioni in merito alle sue foto.
Nel mondo della fotografia è una figura unica, in molti lo ritengono tra i più grandi, e la sua “anomalia” è fertile di insegnamenti suo malgrado.
Per dire: nonostante le richieste, egli non accetta lavori commissionati (agognati da tutti gli altri fotografi); gioviale e sempre allegro, quando si tratta di selezionare le proprie foto è severissimo, solo pochissime passano le strette maglie e arrivano a noi. Maniacale e perfezionista è anche nell’editing di mostre e libri, con richieste che puntualmente fanno impallidire editori e curatori.
Tanto esigente in fotografia quanto spartano nella vita: si favoleggia che ancora, come ha sempre fatto, non disdegni talvolta il sacco a pelo dove cullare sogni e ossessioni.
Nato in Cecoslovacchia, già ingegnere aeronautico, si converte alla fotografia e “incappa” nell’ingresso dei tank russi a Praga: quelle foto vengono diffuse anonimamente nel mondo attraverso la Magnum, di cui in seguito farà parte.

Slovacchia, 1967 - © J. Koudelka/Magnum Photos

Per molto tempo le sue fotografie hanno nella presenza umana una regola e una costante. Un rapporto diretto e senza barriere con la vita – vero e unico soggetto delle sue immagini – per avvicinarsi alla quale usa esclusivamente il grandangolare. Alcuni suoi lavori sono già nella storia della fotografia, e la potenza raggiunta, per esempio, nel raccontare gli zingari, non è stata mai eguagliata dai molti che hanno affrontato il tema.
Chissà quante scarpe avrà consumato, per seguire i suoi Gypsies in tutta Europa nell’arco di ben dieci anni (un libro che raccoglie tutto il lavoro, rieditato in maniera completa, è stato recentemente pubblicato da Contrasto Due sotto la supervisione dell’autore stesso).

Ma Koudelka è Koudelka, e uno così non lo imbrigli, non si ferma, ama sparigliare, vuole rinascere, e come un bimbo curioso apre nuovi cassetti per frugarci dentro.
Ragion per cui, chi va alla mostra a Marsiglia, vedrà tutt’altro.
Infatti, a metà degli anni ’80, il nostro sorprendente Josef  ha cambiato giocattolo: archiviata la Leica, si è innamorato di una fotocamera panoramica. Come dire una rivoluzione copernicana. Un approccio, una visione, una tecnica, perfino una filosofia dettate dal mezzo. Ma davvero vogliamo pensare che uno come Koudelka ne subisca passivamente le caratteristiche? Ovviamente no, e così inizia a “piegarne” l’utilizzo come mai si era visto, per esempio abbondando con le foto panoramiche in verticale, un apparente ossimoro visivo.
Inizia a consumare altre scarpe, a percorrere nuovi sentieri, in un paesaggio immersivo, con geometrie che solo il suo occhio riconosce, decodifica e presenta al nostro stupore.
Nasce “Chaos”, il primo lavoro declinato interamente in formato panoramico, nella più totale assenza di figure umane (ma non di segni dell’uomo).

Tolmeita, Libia, 2009 - © J. Koudelka / Magnum Photos

Nel viandante Koudelka c’è anche, dietro al carattere estroverso, un forte accento introspettivo, esploratore di sé.
Mentre il suo approccio col piccolo formato mostrava una certa costanza nel tempo, da quando utilizza quello panoramico sembra di avvertire – lento ma costante – uno spostamento. Verso cosa? Koudelka non vuole interpreti, giustamente, ma si potrebbe azzardare: verso il tentativo di afferrare un senso del mondo prima che ci sfugga definitivamente.

“Vestiges” evoca le nostre origini, le radici di una civiltà e di una cultura. “Vestiges” ci interroga su chi siamo, chi eravamo e chi saremo.
Attraverso tutto il Mediterraneo Koudelka si muove, forse per la prima volta, secondo una rotta stabilita. E nelle rovine archeologiche legge, come la chiromante nella mano, i segni del passato ma anche quelli del futuro.

Un futuro che non deve sembrargli molto promettente, ma che di certo egli affronterà con un bicchiere di vino, una delle sue sonore risate e – naturalmente – con un buon paio di scarpe per affrontare ancora nuove strade, camminando sempre un passo avanti a noi.

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