Città del Messico è una megalopoli da 25 milioni di abitanti, lunga 50 chilometri. Qui, da 11 anni, Fabrizio Lorusso ha trovato il suo posto nel mondo. Trentacinquenne milanese di origine, laureato con una tesi in storia economica messicana, si è trasferito per proseguire gli studi: in Messico ha frequentato un master e ora sta concludendo un dottorato in studi latinoamericani. Nel frattempo, la sua vita messicana si è arricchita di nuove prospettive e nuove possibilità: “Sin da subito ho iniziato a scrivere, raccontando quello che vedevo durante i miei viaggi in America Latina. Diari, cronache, poi articoli di politica e corrispondenze per alcuni media italiani. Per anni mi sono dedicato anche all’insegnamento dell’italiano e altre materie all’università per mantenermi, e da un po’ sono approdato al mondo delle traduzioni, anche di libri. Qui in Messico sono quello che parla dell’Italia, e lì sono uno che racconta l’America Latina. E’ una doppia fatica, ma sono i due mondi in cui vivo da anni”.

L’aspetto curioso della vita di Fabrizio è come, nonostante la prolungata lontananza, continui a mantenere un forte vincolo con l’Italia: “Quelli della mia generazione all’estero sono molto più legati al paese d’origine di chi migrava trenta, quarant’anni fa. In Messico per esempio la comunità italiana è numerosa e molto attiva, attenta alla diffusione della nostra cultura all’estero”. Una comunità così attenta che al dicembre del 2012 risale una lettera, firmata da ottanta italiani emigrati, che lamenta un peggioramento nella gestione dell’Istituto italiano di cultura di Città del Messico, legato al nostro ministero degli Esteri. Sulla vicenda, Fabrizio racconta: “A volte ci sono situazioni preoccupanti per quanto riguarda la diffusione della cultura e soprattutto il lavoro di alcune categorie, per esempio i docenti, che come in Italia vivono in condizioni di miserabile precarietà”.

A seguito della lettera e delle proteste degli italiani, il 18 dicembre c’è stata anche un’interrogazione parlamentare in Italia posta dall’onorevole Bucchino, eletto in circoscrizione esteri. Questa partecipazione della comunità italiana, per Fabrizio, è da leggere come un buon segnale: “Fra molti migranti italiani c’è voglia di costruire, non solo di criticare. Tornare a casa con un’esperienza ricca e densa fatta all’estero. Per alcuni si tratta di rientrare a lavorare in Italia, per altri, come nel mio caso, il contributo sta nel fornire immaginari e visioni del mondo all’Italia, e viceversa. Lavorando anche sulla trasparenza delle imprese che rappresentano il nostro Paese all’estero e che devono avere standard etici elevati”.

Intanto, Fabrizio si sta dedicando al suo ultimo progetto, un libro sulla Santa Muerte appena pubblicato in Italia: “Sto studiando il tema da 5 anni, è per me di grande interesse. Questa patrona dell’umanità, la santa morte, è molto popolare qui in Messico: da alcuni viene definita la Madonna dei narcos, da altri semplicemente la patrona dei dimenticati, degli strati marginali della popolazione”. Dopo questo libro e un altro su Haiti pubblicato recentemente, Fabrizio progetta di continuare a scrivere anche una volta concluso il dottorato, magari sia in spagnolo che in italiano, per conciliare le sue due anime. E l’Italia? “Sono aperto a tutto, all’eventualità di tornare, così come a quella di continuare il mio percorso qui, in America Latina. Anche una realtà come quella di Città del Messico è piacevole e vivibile, se ti sai adattare alle sue contraddizioni. Fra l’altro, i messicani sentono una certa affinità con il popolo italiano, e hanno una visione abbastanza felice del nostro paese”.

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