Cultura

Depeche Mode e “Delta Machine”, il nuovo album tra synth e intimismo

Il gruppo torna dopo 4 anni dall'ultima pubblicazione con una sonorità più vicina al blues. Un cambio di rotta che il tastierista e chitarrista Martin Gore spiega così: "E' stata una bella sfida, volevo che i brani avessero un sound molto moderno. Questo disco ha qualcosa di magico"

di OndaRock per il Fatto

I Depeche Mode, ancora loro. Trentadue anni dal loro debutto, quel “Speak And Spell” che li lanciò nell’Olimpo dei grandi. Una carriera costellata da successi e live da tutto esaurito, prima nei club e poi negli stadi. Quasi solo luci, pochissime ombre. E ora la pubblicazione per l’etichetta Columbia, da oggi nei negozi, di “Delta Machine“, tredicesimo disco in studio che arriva a quattro anni dall’ultimo, un po’ deludente, “Sounds Of The Universe”. Tredici tracce per poco meno di un’ora di musica, questo il risultato di questa nuova fatica del terzetto formato da Dave GahanMartin Gore e Andrew Fletcher

Quel che salta all’orecchio di questo “Delta Machine” è la capacità del gruppo, dopo tre decenni di carriera, di riuscire sempre un po’ a reinventarsi. I synth, in verità abbastanza imbrigliati, difficilmente esplodono, le chitarre aggressive si fanno sentire col contagocce. Questo nuovo album pare quasi avvicinarsi quasi ad una sorta di forma blues. Insomma sono lontani i tempi del trittico “Black Celebration”, “Music For The Masses” e “Violator”, album che ridefinirono totalmente i canoni pop e che nella memoria collettiva si impressero a pietre miliari degli anni Ottanta. A conferma del deciso cambio di rotta, Martin Gore spiega: “Scrivere quest’album è stata una bella sfida, perché volevo che i brani avessero un sound molto moderno. Voglio che la gente si senta bene quando lo ascolta, che provi un senso di pace. Questo disco ha qualcosa di magico”.

E infatti le timide “The Child Inside”, “Broken” o “Alone” riportano i tre ad una dimensione quasi intimista, ben lontana dai loro episodi più graffianti. Da tutte le canzoni emerge una produzione, affidata a Ben Miller, ovattata. Gahan infatti sottolinea come “con questo album abbiamo cambiato il nostro approccio alla scrittura. Non amiamo il suono troppo “normale”, ci piace “sporcare” un po’ i brani, vogliamo che abbiano la nostra impronta”. L’esperimento pare in verità riuscito solamente a metà. Manca una struttura portante, le tracce sono slacciate le une dalle altre e, fatto rarissimo nella loro carriera, manca anche un singolo di razza. 

A breve inizierà un tour in tutto il mondo, che continuerà fino alla seconda metà del 2014. E’ ovviamente prevista l’apparizione live anche in terra italiana. Due date – il 18 e 20 luglio – a Roma e Milano, per gustarsi sicuramente uno spettacolo diverso, dove ovviamente non mancheranno anche le storiche hit che hanno coronato la carriera della band originaria dell’Essex.

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