E così il giorno della laurea ad honorem è arrivato. Daniel Pennac, lo scrittore francese diventato celebre per il ciclo dedicato a monsieur Malaussène da Belleville, Parigi, è stato insignito dal rettore dell’università di Bologna, Ivano Dionigi, del titolo accademico proposto dal dipartimento di scienze dell’educazione dell’Alma Mater. E lui, nella sua lezione dottorale tenuta nell’aula magna di Santa Lucia, si schermisce: “Proprio tu”, si è detto, “che durante tutti gli anni di scuola sei sempre stato tra gli ultimi tre della classe, si tratta di un vero e proprio errore di casting”.

Di errore, però, non si può parlare leggendo le motivazioni che hanno accompagnato il riconoscimento. Pennac, infatti, quella laurea ad honorem, secondo l’ateneo bolognese, se l’è meritata “per il suo costante impegno sul fronte della pedagogia della lettura e della riflessività pedagogica, per aver posto la necessità del leggere al centro dell’azione educativa, per la sua mirabile attenzione allo sguardo, al vissuto, ai diritti propri dell’infanzia e dell’adolescenza, cui dedica le pagine più intense della sua produzione letteraria e saggistica”.

E ancora, secondo l’Alma Mater, si è distinto “per la sensibilità sempre dimostrata nei confronti di coloro che meno riescono a integrarsi all’interno delle istituzioni educative”. Senza dimenticare nemmeno – anzi, senza dimenticare soprattutto – “gli studenti meno ‘bravi’ in termini strettamente scolastici e conquistarli alla passione per la conoscenza”. Proprio a loro, a chi non eccelle per motivi diversi, spesso legati a difficoltà oggettive e non a svogliatezza, Pennac ha voluto concentrarsi proseguendo nella sua lezione.

Parlando sempre di sé e della sua esperienza, estesa non solo al suo essere stato “meno bravo”, lo scrittore francese ha sottolineato il “sentimento d’ignoranza che ha costituito la sua identità durante tutta la sua carriera scolastica. Egli era l’ignorante. Il somaro. Quello che non corrispondeva mai ai criteri del sapere che l’istituzione esigeva da lui. Era il figlio illegittimo della scuola, il bambino ripudiato dalla madre educativa. Quello che sui banchi di scuola si sentiva sempre fuori luogo. Era l’ignorante in mezzo ai sapienti. Per lui e per quelli come lui, tale situazione ha prodotto un risentimento terribile nei confronti di tutte le istituzioni che incarnano il sapere, vale a dire – per loro – il potere di escludere dalla cerchia dei cittadini rispettabili”.

Quasi fosse un duetto preparato, gli ha fatto eco il rettore Dionigi quando ha detto che Pennac “ha messo in cattedra l’infante, colui che ancora non ha la parola, ha così dato voce all’infanzia”. Inoltre la docente Emma Beseghi, nella sua laudatio, è tornata sulla carriera dell’autore d’Oltralpe iniziando dal più recente “Ernest e Celestine” e poi altri titoli, tra cui “Come un romanzo” e “Diario di scuola”. E si è concentrata a propria volta sui “somari, a cui dà nobiltà restituendo loro anche il peso di frustrazioni e di angoscia che li accompagna mentre si addentra in quel ‘mal di scuola‘ che attraversa con vitale continuità i suoi percorsi narrativi”.

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