Alla ricerca di una nuova umanità per uscire dalla crisi dalla parte giusta.

Davanti a un imballaggio classificato fragile, le reazioni possono essere disparate. Qualcuno va in ansia, c’è chi diffida, chi non resiste alla curiosità e chi allontana il pacco. Qualcuno resta impietrito. Io, invece, mi lascio pervadere dalla convinzione che lì dentro ci sia qualcosa di bello, raro e prezioso.

Ci siamo abituati a rinnegare la fragilità, che perciò è stata censurata dal tempo e nel tempo. Il fenomeno ha avuto il massimo successo negli ultimi quarant’anni. Successo parziale, però, come vedremo. Di certo ha imperato a lungo il mito dell’autorealizzazione secondo cui l’individuo può e deve contare solo su se stesso, puntando con forza all’aumento e alla crescita delle proprie possibilità, poiché – riprendendo Nietzsche – noi siamo volontà di potenza (e non nego che ci sia del vero). Tale istanza si è potuta realizzare poiché l’intero sistema era (o sembrava) in grado di risponderle fornendo una gamma vastissima di possibilità. Fino ad oggi ciò ha funzionato perché, un po’ come l’Universo, si è creduto che anche il sistema fosse in continua espansione, assecondando l’uomo nel delirio di onnipotenza. Il successo era lì, a portata di mano. Bastava essere golosi delle infinite possibilità di un macro sistema economico vincente concepito da e per persone vincenti.

Poi, il mito è diventato un imperativo categorico. Ha cominciato ad assumere legittimamente più importanza delle relazioni con l’altro anche nei legami primari, complici i rinforzi del macro sistema che hanno enfatizzato il messaggio se non riesci non vali. La torta era succulenta, lì da divorare (tanto se ne sarebbe sempre potuta fare un’altra). Poi, all’improvviso, la torta è finita. Ci ha svegliati la crisi! Anche se in realtà non è giunta dal nulla, perché figlia legittima e, finalmente, riconosciuta di quello stesso gigante che ci ha mostrato i piedi d’argilla. Improvvisamente voraci di briciole, abbiamo sollevato il tappeto trovando ciò che vi avevamo nascosto sotto per anni: limiti, finitezza, incompletezza, infelicità. Dell’individuo e del sistema.

L’individualismo come valore dai connotati pressoché assoluti si è rivelato una menzogna.

La menzogna è emersa con evidenza sul piano individuale come su quello comunitario. L’equilibrio tra egoismi non ha portato a una collettività forte, coesa, sicura di sé. La crisi ci ha fatto da specchio, rimandandoci la nostra immagine sciupata e scontenta. Ci ha restituiti alla nostra fragilità.

E allora, se è vero che la volontà di potenza e di completezza è costitutiva dell’umano e rappresenta una delle spinte che fanno crescere, individualmente e collettivamente, è altrettanto vero che occorre legittimare anche l’altro elemento costitutivo della nostra natura: la fragilità. Solo scoprendoci complessi e incompleti e accogliendo anche la nostra debolezza potremo riconoscerci, aggirando l’istinto di nascondere i nostri limiti, ma piuttosto accettando (desiderando?) di condividerli con gli altri. Perché questo ci ha detto la crisi: è la somma delle fragilità, non degli egoismi, a fare la differenza. Nei ceti medi sono in drastico aumento le situazioni di vulnerabilità, che stanno divenendo quasi dei tratti generali, dei connotati.

Una strada verso il cambiamento sta appunto nella riscoperta di luoghi comuni in cui favorire l’incontro tra persone e la costruzione di progetti condivisi. Pensiamo che la possibilità di uscire dalla crisi dalla parte giusta stia appunto nella capacità di mettere in comune le fragilità peculiari di ogni individuo, imparando a non lasciarsi paralizzare dal senso di vergogna con cui ci siamo fino ad oggi rapportati ad esse.

Anche a livello individuale la capacità di conoscersi e accettarsi, nei limiti come nelle forze, diventa una sorta di prerequisito indispensabile nel cammino che quotidianamente intraprendiamo nella ricerca della realizzazione personale e della felicità. In questo senso il successo e l’autoaffermazione hanno tanta più speranza di essere raggiunti quanta più strada sapremo percorrere in modo sereno e condiviso.

I tempi sono cambiati, stanno cambiando. Le logiche si capovolgono. Vecchi paradigmi mostrano la corda, nuovi equilibri chiedono d’essere assunti. Siamo di fronte a un cambiamento che più che sociale è antropologico. È in gioco una nuova visione di uomo.

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