Non so se ci avete fatto caso anche voi, ma questa mattina le strade di pressoché qualunque città italiana erano paralizzate da infiniti serpentoni di auto che si snodavano dal centro in qualunque direzione: è il risultato abbastanza scontato dello sciopero del trasporto pubblico indetto dai principali sindacati di categoria.

Twitter in questo caso è la cartina di tornasole del malumore: qui i cittadini infuriati inveiscono contro il sindacato o contro i lavoratori in sciopero senza cercare neppure di capire i motivi della mobilitazione. Informarsi sul tema, in effetti è molto difficile: i giornali presentano lo sciopero come un evento ineluttabile al pari di una forte nevicata, un alluvione o una tromba d’aria e d’altronde anche i sindacati non si perdono certo in dettagli per rendere più comprensibili e condivisibili le proprie richieste al di fuori della cerchia dei propri rappresentati.

Riassumendo in modo estremo, lo sciopero di oggi altro non fa che chiedere delle certezze economiche per il futuro dei servizi di trasporto pubblico che, se per i lavoratori del settore da un lato significa certezza di continuare percepire lo stipendio, allo stesso tempo significa certezza di continuare a trovare il treno fermo al binario per quei 15 milioni di persone che ogni giorno in Italia usano i mezzi pubblici.

È servito a qualcosa? Sembra di si: il ministero dei trasporti ha sbloccato proprio ieri sera (quando ormai lo sciopero non poteva essere più revocato) 3 miliardi di euro. Ci hanno messo una pezza, insomma.

Il grande problema però rimane. Nel nostro paese infatti si preferisce fare politica attraverso le contrapposizioni tra curve ultrà tra le quali non esiste alcuna possibilità di dialogo e confronto, ma solo lo scontro aperto: guelfi contro ghibellini, destra contro sinistra, ferrotranvieri contro pendolari.

E alla fine, inevitabilmente, tra i due litiganti, il terzo gode.

Il terzo che gode in questo caso è il partito delle grandi opere: mentre gli operatori del settore sono costretti a elemosinare un rinnovo del contratto e qualche spiccio mandando su tutte le furie i pendolari, 45 miliardi di euro di appalti vengono destinati alla costruzione di 32 nuove autostrade per oltre duemila chilometri complessivi d’asfalto della cui utilità è lecito dubitare.  

Riassumendo, mentre il 97,2% degli spostamenti avviene all’interno delle aree urbane, il 75% delle risorse viene allocato per soddisfare la domanda di mobilità del 2,8% delle persone e merci del nostro paese (è questa la quota di spostamenti quotidiani superiori ai 50 chilometri).

Eccoci al punto, quindi: la coperta non è troppo corta come si dice in giro, ma piuttosto è distribuita male e lascia scoperti pendolari e operatori del trasporto pubblico che si ritrovano così a confrontarsi in una tristissima guerra tra poveri.

E allora perché non mettere da parte per una volta gli scontri tra tifoserie contrapposte e iniziare a fare fronte comune per andare a modificare i criteri con cui vengono distribuite le risorse destinate ai trasporti per mettere finalmente al centro delle politiche le esigenze dei cittadini?

Questo è l’obiettivo che si pone la manifestazione indetta dalla Rete per la Mobilità Nuova e che si terrà il 4 maggio a Milano.

La speranza è che scioperi come quello di oggi non debbano più essere necessari e che le nostre città si possano liberare dalla paralisi costante a cui sono condannate.

L’invito a partecipare è aperto a tutti: cittadini e associazioni di qualunque tipo (sindacati inclusi). 

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