Migliaia di lavoratori della logistica tornano a manifestare in tutto il Nord Italia ma è Piacenza il fulcro della protesta: qui negli ultimi due anni sono deflagrate le prime concrete avvisaglie di quello che oggi si può chiamare movimento e che oggi si è esteso a centinaia di stabilimenti.  Nella Giornata nazionale di sciopero della logistica è stata ancora una volta la Primogenita ad ospitare il corteo, organizzato dal Si Cobas.

Dalle prime luci dell’alba e per tutta la giornata, sono stati 350 solo a Piacenza gli operai che hanno incrociato le braccia, facendo chiudere per un giorno multinazionali della spedizione come Tnt o colossi dell’arredamento o dell’elettrodomestica come del calibro di Ikea e Unieuro. Oltre 250 i camion rimasti fermi, per un settore che si accorge delle braccia che sollevano i carichi solo quando mancano.

“Il contratto del settore è scaduto e nessuno informa i lavoratori che qualcuno sta trattando alle loro spalle – urla Edoardo Petrantoni dal pulpito ai giardini Margherita, nel cuore del città -, mi riferisco a Cgil, Cisl e Uil, che però stanno rinegoziando diritti sindacali che abbiamo conquistato con anni di lotte”.

Pare che negli ultimi tavoli di trattativa, oltre alla ridefinizione delle ore lavorative, sul piatto via sia anche la retribuzione che ogni singolo lavoratore percepisce. “Prendiamo stipendi da fame -spiega un dipendente Ikea – alcuni, chi riesce, deve fare un prestito per pagare l’affitto di casa. Vi sembra normale?”.

Stipendi bassi, iniquità nella distribuzione delle ore, contratti fasulli – alcuni sono stati sventolati in corteo – sono aspetti ormai noti a chi segue queste vicende. Quel che emerge di nuovo è il clima, che all’interno dei magazzini della logistica appare sempre più pesante. “Con la scusa di salvaguardare il patrimonio, Ikea ha iniziato ad installare centinaia di videocamere all’interno dei reparti. Vogliono controllare che non si faccia attività sindacale – dice Petrantoni – ma c’è la legge 700 dello statuto dei lavoratori che vieta che i dipendenti possano essere sorvegliati con dispositivi audio-video”.

La manifestazione nella città al confine tra Emilia Romagna e Lombardia, iniziata nel primo pomeriggio e terminata verso le sei in piazza Cavalli, ha poi assunto un ulteriore significato. “Stanno cercando di intimidirci in tutti i modi” si è sentito di dire Mohamed Arafat, delegato Si Cobas e anima del movimento a Piacenza. E poi ha aggiunto: “Abbiamo ricevuto trenta denunce per le manifestazioni dei mesi scorsi e sono riusciti a non far partecipare il nostro segretario”. Si tratta di Aldo Milani, segretario nazionale Cobas, raggiunto nei giorni scorsi da un foglio di via dalla città da parte della questura per tre anni. “I lavoratori che hanno manifestato non meritano di essere perseguiti, semmai una medaglia perchè hanno lottato per i loro diritti – secondo Arafat – ma se la vogliono mettere su questo piano per noi le denunce sono come delle medaglie” ha detto nel megafono, tra lo scrosciare di applausi, cori e lo sventolare di bandiere del corteo.

Poi l’arrivo nella piazza centrale della città del corteo, dove è stato fatto un pensiero alle donne che lavorano nella logistica. Una piccola rivoluzione, anche questa, visto che la maggioranza dei manifestanti sono di origini arabe. “Non c’è differenza sul lavoro – ha arringato la folla Arafat – chiediamo alle istituzioni che vengano nei magazzini a vedere come sono trattate le donne, come i loro diritti vengono negati” e nessuno pare abbia avuto nulla in contrario. Davanti a palazzo Mercanti, sede del Comune di Piacenza, i Cobas infine hanno chiesto che si apra un dialogo per discutere del contratto, scaduto a fine anno visto che, con le nuove trattative in corso – hanno paventato – “sono a rischio diritti sindacali inderogabili”.

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