Secondo gli intramontabili guru della politologia italica gli ‘intellettuali’ che si sono rivolti al Movimento 5 stelle perché non getti via la straordinaria possibilità di cambiamento che ha contribuito a creare sono degli ingenui, indegni epigoni della tradizione che dette al mondo Nicolò Machiavelli. Peggio: sono (siamo, visto che ho firmato anche io) incapaci di distinguere i propri pii desideri dalla dura realtà. E dunque, secondo loro, Piero Grasso non è mai stato eletto presidente del Senato. O, se proprio bisogna ammettere che questa bizzarria sia avvenuta, certo non rappresenta un’indicazione politica, una possibile via d’uscita. Sarebbe interessante intrattenersi sull’aderenza al reale del grande giornalismo che non è riuscito non dico a capire l’entità del risultato che avrebbe avuto la lista di Beppe Grillo, ma nemmeno a piazzare il nome di Jorge Mario Bergoglio foss’anche all’ultimo posto dei cardinali papabili.

Ma è assai più interessante chiedersi se ciò che è avvenuto in Senato non sia invece il segno che «qualcosa nella politica italiana si muove», come ha scritto Peter Gomez.

Grillo ha detto più volte che la linea del Movimento sarebbe stata quella di votare i singoli provvedimenti che corrispondono al programma, o alla prospettiva, a 5 stelle. Su queste basi è difficile dire che i senatori che hanno votato Grasso invece di Schifani abbiano ‘tradito’. A meno che non si evochi il perseguimento di una politica che prescinde, cinicamente, dal merito delle singole scelte in vista della conquista del potere (come ha fatto, in quella stessa votazione, Mario Monti: perdendo definitivamente la faccia). Ma gli elettori del Movimento si aspettano che a decidere siano due anziani ed eccentrici milionari che non siedono in Parlamento, o invece si aspettano che i deputati e i senatori si assumano le loro responsabilità in prima persona?

Quegli elettori si aspettano soprattutto una radicale discontinuità. E ciò che è successo al Senato è stato come abbattere un ecomostro abusivo in cemento e sostituirlo in un secondo con una villa palladiana. E anche se Grasso è stato portato in Parlamento dal Pd e anche se la tattica che l’ha portato alla presidenza del Senato è stata l’unica mossa geniale di Bersani, la sua elezione (come quella, ancor più entusiasmante, della Boldrini alla Camera) è obiettivamente un prodotto e un successo non del Pd, ma del Movimento. O meglio, la forza di quest’ultimo ha costretto Bersani a fare ciò che davvero vogliono i suoi stessi elettori piuttosto che ciò che vuole la dirigenza del partito.

Ma è possibile trasferire questo felice esperimento sul piano, ben più inclinato e scivoloso, della nascita di un governo che ci porti a nuove elezioni cambiando la legge elettorale, affrontando l’emergenza economica e ripristinando alcune minime regole di legalità costituzionale? Secondo l’organo ufficiale del pensiero neomachiavellico, è impossibile: come ha spiegato domenica Ernesto Galli della Loggia, l’elezione dei due presidenti avvicinerebbe le elezioni perché allontana quella che pare l’unica soluzione ‘realistica’, la Grande Coalizione col Caimano.

In molti crediamo che le cose non stiano così: ma la premessa indispensabile è che Bersani abbia il coraggio di compiere un passo indietro ancora più radicale (e per lui doloroso). E cioè che faccia subito spazio ad una proposta davvero in discontinuità con la classe dirigente del suo stesso partito: una proposta come, per esempio, un governo guidato da una personalità come Stefano Rodotà (o da altre paragonabili per caratura e indipendenza), formato da ministri con le stesse caratteristiche.

Non so come Grillo potrebbe dire di no a un Rodotà (padre del cruciale successo del referendum sull’acqua bene comune, che è la prima delle famose 5 stelle). Perché non si tratterebbe del ricatto del meno peggio denunciato da Marco Travaglio: si tratterebbe finalmente di un buon governo, anche se di emergenza e a tempo.

E se non riesco a credere che i parlamentari a 5 stelle perderebbero una simile occasione, concreta e immediata, di vero cambiamento, riesco quasi a vedere i cittadini pronti a inseguire col forcone i senatori che dicessero no a tutto questo in nome dei vincoli di appartenenza, o della disciplina di partito. Come ha scritto Antonio Padellaro, «l’idea che sia tutta un’illusione passeggera perché presto si tornerà alle urne è davvero crudele. L’uomo con gli occhiali neri non aspetta altro».

Sarebbe – ancora una volta – il morto che afferra e trascina a fondo il vivo.

il Fatto Quotidiano, 19 Marzo 2013

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