Trattiamo l’ambiente come un tappeto sotto il quale nascondere, sempre e da secoli, le nostre sporcizie, i nostri scarti.

Leggo, per lavoro e per passione, i rapporti annuali di Legambiente che purtroppo confermano e dettagliano quanto già conosco sulle immondizie gettate, sul ciclo dei rifiuti, sull’abusivismo edilizio e inorridisco ogni volta.

Non si tratta di diatribe tra tecnici, si tratta di affari sporchi commessi da chi sa come avere una faccia pulita e un retro bottega degli orrori.

C’è gente, direbbe qualcuno, che studia per fregarci: università e master solo per cercare il modo migliore per aggirare le legge e l’ostacolo in un paese che, salvo qualche novità futura, vanta una tradizione antichissima nel “piangere e fottere”. Oggi è un fiorire di marchi verdi, di operazioni mediatiche “bio” “eco” e “clean friendly” di molte aziende, politiche ambientali, mission aziendali e organismi di vigilanza con consulenti e presidenti pagati dalle stesse società che dovrebbero controllare con un occhio alla facciata:  le carte siano a posto!” E il disinteresse per la sostanza!

Premessa questa, cinica e mesta, per raccontarvi come ogni tanto anche le piccole notizie possano ancora rallegrare e confermare, se mai ce ne fosse bisogno, che bisogna investire realmente sulle risorse del territorio, sulla ricerca e, perché no, dare fiducia anche alla fantasia.

Vi racconto allora del piacere provato nell’aver letto di un artista afgano, il sig. Massoud Hassani, che ha reinventato un gioco, tra arte e tecnica, da far rotolare, con il vento, nelle distese desertiche delle zone di guerra, disseminate di infami mine antiuomo.

Il numero esatto di morti e mutilati ogni anno da mine antiuomo non è rilevabile. Alcune fonti indicano la presenza di oltre 90 milioni di mine antiuomo sparse in oltre 50 paesi nel mondo. A questo orrore le vigliaccate recenti e antiche della guerra con bombe chimiche al fosforo come in Siria.

Ancora una volta, però, dalla fantasia una piccola invenzione e dall’ambiente il sistema per farla funzionare e renderla completamente riciclabile: si tratta di una sorta di enorme sfera, fatta di leggerissime canne di bambù o altro legno in cima alle quali sono applicati dischi in materiale biodegradabile.

Queste sfere, alte quanto una persona, vengono lasciate rotolare, spinte dal vento negli altopiani e nei deserti minati. Vagando, senza che nessun uomo sminatore debba correre rischi, innescano mine e le fanno scoppiare. Costano pochissimo, meno di 40 dollari a composizione e hanno un impatto sull’ambiente molto basso.

Non è la soluzione certamente, né quella definitiva ma l’idea, a mio parere, è bellissima. Bambù e vento e un po’ di speranza per ricominciare, per non vedere solo l’orrore della guerra.

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