Ieri a Firenze 150 mila persone ci hanno preso per mano, ci hanno abbracciati, ci hanno ricordato che il dolore non è solo nostro, che tenerlo per noi non può essere una scelta perché il ricordo di una vittima innocente della mafia è un patrimonio per tutti. Ci hanno proposto di condividerlo, di parlarne per combatterlo. Ci hanno “scortato” per le vie di Firenze, protetti dai lunghissimi cordoni umani dei scout. Eravamo lì, oltre 500 familiari delle oltre 900 vittime innocenti della mafia. Eravamo lì con le nostre facce, con i nostri corpi a dire alla camorra, alla ‘ndrangheta, alla Sacra Corona Unita e a Cosa Nostra che abbiamo vinto noi, che la violenza ha generato una resistenza che, prima o poi, li travolgerà.

Non sono mai stato un buonista. Certe volte sono stato in disaccordo con Libera per alcune cose dette e per altre non dette, per alcune cose fatte e per altre non fatte. Poi mi sono avvicinato alla famiglia più numerosa d’Italia e ho iniziato a partecipare alle giornate della Memoria e dell’Impegno. Ho iniziato a guardare quelle madri, quei padri, quei fratelli, quei mariti, quelle mogli di persone innocenti strappate alla vita dalla violenza mafiosa e ho iniziato a chiedermi: ma se non ci fosse Libera, se Libera non esistesse, tutte queste persone oggi dove sarebbero? Sarebbero mai riuscite ad iniziare un percorso di elaborazione, di condivisione del dolore? Sarebbero mai uscite dal buio e dal silenzio dell’“in fondo se la sono cercata” che sibilano compiaciuti i “paesani” della vittima? Senza Libera oggi tutti noi dove saremmo?

Non serve molta immaginazione. Saremmo, molto semplicemente, soli. Ognuno per se e nessuno per tutti. Saremmo, molto semplicemente, soli e non avremmo nemmeno una legge, sottoscritta da un milione di italiani, che prevede l’uso sociale dei beni confiscati alla mafia e la loro restituzione alla collettività. Saremmo soli a consumarci lentamente, a spegnerci, a cercare dubbie sponde per raccontare all’Italia che i morti non sono tutti uguali, che le vittime innocenti non possono essere accomunate a quelle di mafia. La memoria dei nostri parenti sarebbe destinata all’oblio una volta esaurita la breve durata di una vita terrena.

Per queste ragioni, ma ce ne sarebbero almeno cento, devo dire grazie a Libera e a tutti i suoi volontari, a don Luigi Ciotti e ai suoi collaboratori, a tutti quelli che ci permettono di vivere una vita migliore, una vita votata all’impegno, alla testimonianza, al riscatto. Ho visto persone, come mia mamma, tornare a vivere. Ne ho viste altre riuscire a parlare del proprio marito dopo trent’anni di silenzio e di lacrime. Ma dire grazie non basta. Bisogna sporcarsi le mani, darsi da fare, mettercela tutta. E dunque, Libera e Liberi, scusate il ritardo.

 

Articolo Precedente

Lazio, all’Agenzia per l’ambiente un commissario “straordinario”. Da 7 anni

next
Articolo Successivo

Roma, Ater pronta ad affittare locali per archivio e intanto “sfratta” reduci

next