Voglio essere valutato dai miei unici datori di lavoro: i bambini. E voglio poter valutare chi decide sulla mia testa e su quella dei bambini: il ministro dell’Istruzione. In questi giorni si è tornato a parlare di valutazione degli insegnati, del personale Ata e delle scuole.

Prima di andarsene il ministro Francesco Profumo ha fatto approvare dal Consiglio dei ministri in scadenza, un provvedimento che dall’anno prossimo obbligherà le scuole a un’autovalutazione, controllata da nuclei esterni, ai fini del miglioramento del funzionamento delle scuole.

Chiariamo subito: chi scrive è del parere che in Italia serve che gli insegnanti siano valutati. In questi anni ho visto ragazzini che venivano a scuola annoiati, depressi, tristi a causa di docenti che non avevano passione per il proprio mestiere. Non solo: ho visto insegnanti che non sapevano nemmeno accendere un computer, non leggevano un solo libro in un anno. Eppure con i quaderni ereditati da anno in anno, facevano splendide lezioni.

Il problema è che oggi il ministro ha messo in piedi un sistema di valutazione senza pensare che prima ancora è necessaria una formazione a 360 gradi per tutti i docenti, compreso il maestro Corlazzoli che volentieri farebbe un corso (nelle ore scolastiche o a pagamento) sulla didattica 2.0, sulla psicopedagogia o su altro ancora.

Il primo passo per le scuole sarà l’autovalutazione d’istituto.

Gli indicatori su cui compilare il rapporto saranno predisposti dall’Invalsi e saranno uguali per tutte le scuole italiane. L’Istituto definirà gli indicatori di efficienza a cui le scuole e i loro dirigenti dovranno rispondere. Una vera assurdità: basta andare alla scuola “Falcone” del quartiere Zen di Palermo per capire che gli sforzi del dirigente e dei docenti, in quel posto, sono diversi da quelli che posso compiere io in una scuola di campagna. Rendere omogenei gli indicatori significa non avere presente le differenze e i contesti diversi di quest’Italia.

Ecco perché, anche se può sembrare rivoluzionario, l’unico vero indicatore dovrebbero essere i bambini. I miei alunni più piccoli, che pur vedendo i miei sforzi intuiscono la mia inadeguatezza a stare con le classi prime e seconde, mi darebbero un bel 6 o 5. Mentre i più grandi mi promuoverebbero con lode. Questi giudizi nelle mani di un bravo dirigente servirebbero a valutare le risorse presenti, a impostare percorsi di formazione.

Ma facciamo un passo in più: chi valuterà i valutatori? I ministri passano indenni nella storia della Repubblica. Sono nominati e non votati. Abbiamo avuto ministri dell’Istruzione che non avevano mai lavorato nella scuola: al di là delle proteste per i loro assurdi provvedimenti, non abbiamo potuto fare nulla. Valutare un ministro dovrebbe essere compito dei dirigenti e degli insegnanti: potrebbe essere fatta online o se preferite potrebbe essere una commissione ad hoc, nazionale, composta da personale Ata, dirigenti e insegnanti. Son sicuro che ne vedremmo di belle.

Ps: poiché l’argomento sulla valutazione esige un dibattito serio, invito i miei consueti appassionati detrattori a non scrivere il solito “lei è stato bocciato al concorsone…..” perciò non può parlare di valutazione… sono stato abilitato da un concorso fatto nel 1999, mi spiace per voi.  

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