Via Lablache 36, Centro di Salute Mentale, Asl RM A. Mercoledì mattina, una mansarda che in pochi minuti si riempie di una quarantina di persone, madri, padri, fratelli, pazienti. Le persone, un po’ stipate, sembrano molto desiderose di parlare nonostante questo gruppo si faccia una volta a settimana da circa due anni. Sono presenti molti operatori che vengono da diversi servizi, il Centro di salute mentale, il Centro diurno, le Case famiglia, il Centro di riabilitazione diffuso: psichiatri, psicologi, infermieri, tirocinanti, volontari del servizio civile, tutti possono intervenire.

Non ci sono silenzi anzi bisogna regolamentare gli interventi, ma non ci si parla addosso. Una madre inizia a raccontare le difficoltà con la propria figlia dalla quale viene tiranneggiata, interviene un padre parlando delle strategie che usa con il proprio figlio in momenti simili. I genitori di A. dicono che il figlio è stato invitato a ben due feste, ma si lamentano che ci vada senza lavarsi. Alcuni dicono: “ma che vi importa se non si lava, l’importante è che ci vada, si vede che è intraprendente e che a chi lo invita lui va bene così.” Forse una velata allusione a se stesso e a tutto il gruppo, su quanto, a volte, eccessive aspettative possono essere dannose. Un’altra madre in grado di commuovere l’uditorio“Bisogna essere capaci di leggere i comportamenti, di capire quanto anche noi contribuiamo ad esasperare la situazione, a volte mio figlio si irrita perché non riesce ad essere soddisfatto nella vita, se non può essere contento se la prende con me. Ma io so che non è cattivo, è questa maledetta malattia e questi figli malati sono il nostro amore.” 

Un padre fa strani segni con le braccia, le fa oscillare fino a quando i pugni non si toccano, poi ne tiene fermo uno e muove l’altro che oscilla libero nell’aria. Dice: “Vedete, se ce n’è uno solo non si scontrano. E’ la metafora che i problemi non nascono mai da una sola persona ma fra le persone. Chiede la parola una paziente, avrà una sessantina d’anni, è perfettamente adeguata, il suo discorso termina con una invocazione: “Lo volete capire che noi che stiamo male non abbiamo colpa – ripete e scandisce  non abbiamo colpa!” Interviene ancora una signora: “le cose che sto sentendo sono di una ricchezza immensa questi momenti sono per me un grande aiuto.” Un giovane bellissimo tiene una lezione su come riesce a disinnescare la violenza con il fratello. La madre adottiva interviene in maniera affettuosa e scherzosa dicendo: “Ma se le porte le hai sfondate tu con un pugno.” Il figlio sembra interdetto. Subito un padre interviene smorzando l’atmosfera: “Ho visto in un museo due porte sfondate da un pugno, erano diventate due opere d’arte con tanto di cornice, la gente ci guardava in mezzo, chissà quanto valgono!”. Un’altra signora dice “io sarei orgogliosa di avere un figlio così” la madre adottiva sorride e lo accarezza su una gamba.

In questo clima che io ho sentito ricco, solidale, affettivo e partecipato, c’è il segreto di una forma di psicoterapia che può veramente migliorare la vita sia dei pazienti che dei familiari. Si chiama Psicoanalisi Multifamiliare, il suo “inventore”, un argentino, Jorge Garcia Badaracco è morto di recente. In Italia è stata introdotta dal dr. Andrea Narracci, che insieme a Badaracco ha scritto un libro,”Psicoanalisi Multifamiliare in Italia” uscito nel 2011, Antigone editore. Al termine di quest’incontro penso: “Che bello trovare in un quartiere così degradato un centro pubblico così caldo e vitale, ritrovarsi di fronte ad uno sforzo comune fra operatori di diversi servizi che costruiscono insieme un modello di cura condiviso con un’ utenza numerosa che interagisce e si sostiene a vicenda: una nuova alleanza che sembra antica, quella dei tempi d’oro dei servizi pubblici.”

 

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