“Vendo solo libri storici”, dice un uomo sulla cinquantina dalla voce ferma e gentile. “Forse in Italia non si vendono i discorsi di Mussolini? E che dire del libro rosso di Mao o de ‘Il capitale’ di Marx?”, chiede indignato, dopo aver sfoggiato una frase in perfetto italiano. Dopo 15 mesi di carcere, per il libraio più contestato della Spagna, Pedro Varela Geiss, arriva una buona notizia: il Tribunale di Strasburgo ha condannato il governo iberico a risarcire con 13 mila euro il revisionista catalano per violazione del diritto di difesa in una causa che risale al 1996.

Varela, appassionato di storia tedesca e proprietario dal 1991 della libreria Europa, era stato condannato dal tribunale di Barcellona a cinque anni di carcere per negazione dell’Olocausto e istigazione alla discriminazione, all’odio e alla violenza. Ma dopo il ricorso in secondo grado, nel 2000 venne sollevata una questione di costituzionalità su uno specifico articolo del codice penale iberico che entrava in conflitto con la libertà di espressione. La Corte d’Appello di Barcellona aveva allora diminuito la pena a sette mesi di carcere e modificava la sentenza condannando Varela per il delitto di giustificazione del genocidio, attraverso i libri filonazisti che vende tuttora nella sua libreria. A Strasburgo però questo cambio di criterio non è piaciuto. Varela non ha avuto “la possibilità di esercitare una difesa concreta ed effettiva in un arco di tempo ragionevole”, riporta nero su bianco la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Ma per il librario non ci sono dubbi: “E’ solo una vittoria di Pirro. E la guerra sarà lunga”.

La guerra cui fa riferimento il revisionista non è certo da poco: Varela, con la sua eloquenza degna di un Demostene, appare in diversi raduni nazisti inneggiando alla figura di Adolf Hitler, è stato denunciato in varie occasioni per la vendita di materiale nazifascista, sia in Spagna sia in Austria, e per le conferenze organizzate nella sua piccola libreria, nel cuore di Barcellona, insieme a storici che negano l’Olocausto come David Irving o il fondatore del Ku Klux Klan David Duke.

“E allora?” ripete il libraio, sorridente con fare da gentleman. “Non sono nessuno per negare la libertà di informazione ai miei clienti. Io vendo solo libri. Libri anche molto ben argomentati, sul mito dell’Olocausto è vero, ma anche sull’Inquisizione spagnola o sul falso attacco alle Torri gemelle. E’ il pubblico a decidere. Io offro solo un’altra versione dei fatti”. Fatto sta che molto prima della sentenza di risarcimento arrivata da Strasburgo, nella libreria Europa in calle Seneca, erano stati confiscati oltre 4 mila libri – molti dei quali pubblicati dalla casa editrice Ojeda, di proprietà dello stesso Varela – e oggetti di chiaro stampo nazista. Varela ha inoltre un processo aperto per un presunto delitto contro la proprietà intellettuale per aver pubblicato il “Mein Kampf” di Adolf Hitler, i cui diritti appartengono allo stato tedesco di Baviera.

Di certo al processo aperto al pubblico il distinto libraio si è difeso come se fosse a Norimberga, ripetendo più volte di essere una vittima del sistema. Ma in uno di questi raduni nazisti, ripresi dal documentario “Historias de un librero” di David Mauas, lo stesso Varela spiega a gran voce come l’Olocausto sia una bugia, come non ci furono mai le camere a gas di Auschwitz – lì si lavorava otto ore al giorno e con lo stipendio – e come i neri distruggono la gioventù europea. “Se Dio ci avesse voluto tutti uguali, ci avrebbe fatto tutti verdi”, grida il revisionista catalano. “Hitler aveva ragione”. Adesso, dal bancone della sua libreria, informa i clienti delle ultime novità: “El mito de los 6.000.000” di Joaquin Bochaca e “Cristianos con Hitler” di Ludwig Müller. “La storia, si sa, è sempre scritta dai vincitori. Qui i libri offrono un’altra versione”, conclude Pedro Varela.

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