Khalida El Khatir è una donna musulmana, libera e consapevole, anche se porta il velo.

È nata ad Agadir, in Marocco, nel 1984, lo stesso anno in cui suo padre si è trasferito in Trentino per lavoro. “Quando ho compiuto 7 anni abbiamo fatto il ricongiungimento familiare e lo abbiamo raggiunto – spiega. Oggi vivo a Roma con mio marito e due figli e a luglio dovrei laurearmi in Scienze dell’educazione. Da un paio di anni mi occupo anche di diritti delle donne, e avendo fatto parte dell’associazione Filomena, ho anche partecipato al movimento Se non ora quando?Durante l’ultima manifestazione a Roma, ho anche rivolto un appello dal palco, contro il femminicidio e la violenza, perché in Italia ogni 3 giorni una donna viene assassinata e le cause sono le stesse in tutti i paesi del mondo: maschilismo, gelosia e ignoranza. Per questo cerco di portare avanti questa battaglia, senza colore né religione. Perché siamo donne, e tutto il resto non conta”.

“D’altronde viviamo in un Paese – continua Khalida – dove l’ex premier Silvio Berlusconi ci vorrebbe tutte veline fighe e ammiccanti. I fischi sarebbero dovuti arrivare il giorno dell’ultima sparata che ha fatto all’impiegata della Green power e non a Crozza durante la prima puntata di Sanremo. Ma questo è lo specchio del nostro Paese. Tutto è ridotto a una battuta e il ruolo della donna viene infangato. Abbiamo meno diritti sul lavoro, poca rappresentanza in politica e siamo spesso ridotte a una merce. Troviamo donne nude anche nella più stupida pubblicità del dentifricio”.

Forte e combattiva, Khalida ha iniziato a portare il velo a 18 anni, “a mente lucida e dopo un percorso personale d’identità. I miei sono musulmani praticanti ma non mi hanno mai imposto nulla. Basti pensare che sono la più grande di 5 sorelle e sono l’unica ad aver fatto questa scelta. Dopo l’11 settembre ho cominciato a interrogarmi su quale fosse l’Islam giusto. Mentre in tv veniva descritto come una religione terrorista, io facevo il confronto con la fede dei miei genitori, e lì ho trovato la mia, che non è certo quella di Bin Laden”.

Come spiega molto bene anche il video La vita oltre il velo della web serie Lettere Italiene, anche Khalida è stanca di essere considerata una persona assoggettata e sottomessa solo perché porta il hijab.

“Io mi sento offesa dalle donne che mi vogliono liberare da una scelta che io ho fatto – afferma. Sono stanca delle persone che mi paragonano alle donne dell’Afghanistan, come la Santanché, che secondo me non conosce nemmeno una donna musulmana. Personalmente parlando, io non mi sento me stessa senza il velo e il mio non è un messaggio di sottomissione, ma solo un modo per sentirmi più vicina a Dio, un po’ come accade per le suore cattoliche. Certo, esistono donne obbligate da padri e fratelli a portare il velo, ma questi poco sanno di cosa realmente significhi essere fedeli, perché il Corano recita che ‘Non c’è costrizione nella religione’, perché rispettare un precetto senza convinzione non ha senso né per te né per Dio. Quando viene imposto è solo il risultato di un bieco maschilismo che disprezzo profondamente. Come il niqab imposto in Arabia Saudita o il burqa afghano. Non esistono versi del Corano dove si parla di coprire le donne con un sacco che annulli completamente la loro personalità. Anche per questo penso sia giusto non portare certi indumenti nei Paesi in cui è vietato coprirsi il viso perché bisogna essere riconoscibili. Il niqab non ha nulla a che vedere con l’Islam, e anche gli Imam dovrebbero spiegarlo nei loro sermoni. Aiuterebbe a favorire l’integrazione, così come potrebbe fare molto la scuola, che dovrebbe essere preparata ad affrontare la società multiculturale di oggi”.

E per rispondere alle persone che ritengono che non ci sia libertà di culto e rispetto delle altre culture nei Paesi musulmani, Khalida risponde: “Il Marocco è pieno di Italiani e di cristiani, e a Essaouira c’è una grossa comunità ebraica che convive benissimo con quella musulmana. Ad Agadir c’è la Chiesa protestante di Sant’Anna e una sinagoga ebraica. Persino uno dei portavoce del re è ebreo. E stiamo parlando di un Paese che è considerato quasi terzo mondo, mentre in Italia, che dovrebbe essere un simbolo di civiltà, si portano i maiali a fare la pipì nei luoghi in cui si vogliono costruire le moschee, che vengono descritte come un potenziale covo di terroristi. Luoghi di culto che, in Italia, si contano sulle dita di una mano, costringendoci spesso a pregare in cantine o garage fatiscenti, senza rispetto per la nostra dignità di fedeli”.

Nonostante ciò, Khalida ama l’Italia e si sente “molto più Italiana dei leghisti che vorrebbero dividere il Paese e non credono né nella Costituzione né nello Stato”, e sentir parlare di scontro di civiltà la addolora molto. “L’Islam è arte, musica, storia, architettura. Non è solo religione. E comunque sia, non sarà mai riducibile a una fede di fanatici e terroristi”.

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