Una “Giornata dell’uomo” sarebbe tanto necessaria quanto urgente, ma credo che non nascerà. Non ancora, almeno. Per una nascita, in natura, servono ambiente favorevole, attrazione, motivazione, fertilità. Un clima “fecondo” che tra gli uomini non c’è, anche se ce ne sarebbe terribilmente bisogno.

La prima “Giornata della donna” risale all’inizio del secolo scorso, un periodo particolarmente fervido in cui operava un vasto movimento marxista che aveva tra i suoi membri donne come Rosa Luxemburg, Clara Zetkin e personaggi del calibro di Lenin. Nell’Internazionale socialista si discuteva accoratamente di guerra imminente, economia, colonialismo, ma anche di questione femminile e suffragio universale. Esisteva un’Internazionale delle donne socialiste, un giornale ufficiale della loro azione (Die Gleichheit – l’Uguaglianza), un programma di lotta.

Le donne dunque c’erano, erano attive, in fermento. Tanto che quando l’Internazionale socialista espresse preoccupazione che le proprie battaglie di rivendicazione femminile si mescolassero con quelle di altri gruppi per gli stessi diritti, come ad esempio le «femministe borghesi», molte donne insorsero. “L’Internazionale” – scrisse la socialista Corinne Brown nel 1908 sulla rivista “The Socialist Woman”non ha alcun diritto di dettare alle donne socialiste come e con chi lavorare per la propria liberazione”. Per maggiore chiarezza, pochi giorni dopo, le donne socialiste di Chicago chiamarono la loro riunione settimanale di lotta “Woman’s day”, il giorno della donna, aperto a tutte. Agenda: diritto di autodeterminazione, sfruttamento sul lavoro, dislivello di salari con gli uomini, orari lavorativi, discriminazioni sociali e sessuali, suffragio alle donne.

Sebbene esistano motivi molto seri per cui la lotta delle donne è bene che proceda, come fa, e compia il lungo percorso già effettuato, le attiviste di quella stagione e le loro eredi possono vantare tantissime vittorie. Quasi tutti i punti dell’ordine del giorno di quel primo “Woman’s day” sono stati ottenuti. Altri ne restano, certo, ma la coscienza sociale ha fatto passi da gigante. Ciò che è cambiata maggiormente è la consapevolezza stessa delle donne e della società. All’epoca a lottare era una minoranza di illuminate. Oggi la maggioranza, almeno nel nord ovest del pianeta, non ha bisogno di essere convinta sui temi della parità. E neppure la maggioranza della società.

Noi uomini del nostro tempo siamo in condizione del tutto diversa dalle donne dei primi del ‘900, e pur tuttavia viviamo un’epoca di crisi profonda, la peggiore forse della nostra storia. Sarà che non facciamo più la guerra, non in massa almeno; sarà che non abbiamo mai dovuto lottare per alcun diritto di genere; sarà che il mondo cambia e se non cambi anche tu resti indietro.

Ad eccezione della minoranza gay, che vive invece una stagione del tutto diversa, assai più simile alla condizione di centratura, motivazione ed energia delle donne, mai come oggi la maggioranza maschile eterosessuale sembra aver perduto ruolo, spinta, visione. Non siamo più i condottieri, non siamo più i portavoce della comunità, facciamo da vestali a un sistema morente, che in gran parte è un nostro prodotto, di cui siamo ancora largamente i tenitori, gli attori, gli schiavi. In più, continuiamo a non comunicare orizzontalmente, tra di noi, né con le donne, contorcendoci su noi stessi tra un endemico analfabetismo emotivo e una tragica incapacità a raccontarci. Succubi dell’ansia per qualunque prestazione, veniamo chiamati a un’azione adatta all’uomo di una volta, come era nostro padre, non certo a quel che siamo oggi veramente. Incapaci della solitudine operosa e autocosciente, veniamo masticati dal sistema lavorativo, che ci schiaccia, dall’assenza di ruolo famigliare, da un profondo dislivello energetico e psicologico di fronte alle donne, al cambiamento, al futuro. Tutto in modo acritico e supino. 

Dov’è, cos’è diventato l’uomo contemporaneo? Cosa prova, che strumenti gli sono rimasti? Se fosse libero di scegliere, che vita farebbe, per quali sentieri andrebbe alla ricerca della propria avventura? Che relazione nuova saprebbe costruire con le donne di questa era?

Mai come oggi servirebbe fermarsi, riflettere, sentirsi, trovare i problemi, portarli alla luce, espellere quella biomassa di residua virilità putrescente che ancora ci impedisce quasi ogni relazione. Dovremmo smettere di partecipare al sistema che ci affossa, ci schiavizza, per partecipare a un sistema nuovo, in cui avessimo nuovo ruolo, adatto a noi, ma che prima dovremmo pensare, urlare, lottare per realizzare.

L’agenda del primo “Man’s Day” potrebbe suonare così: manualità perduta, responsabilità individuale, distacco dalle famiglie di origine, nuovi sogni, coraggio per perseguirli, fuga dal consumismo, nuova grammatica del lavoro, solitudine, nuovo alfabeto emotivo, nuove relazioni. Forse, così facendo, potremmo anche mettere la parole fine alla violenza sulle donne. Donne che quando vanno via, quando ci provocano a una comunicazione in cui siamo ignoranti, ci mostrano solo quanto siamo deboli, quanto a un uomo in crisi non restino altro che fuga, disincanto e botte.

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