Nel cuore della Piana di Gioia Tauro, in Calabria, alcuni proprietari di beni confiscati, potrebbero ancora percepire finanziamenti provenienti dall’Unione Europea sottoforma di “titoli” (plafond finanziario annuo che il produttore può ottenere indipendentemente dalla produzione) proprio per gli stessi terreni che lo Stato gli ha sottratto. Il presidente della cooperativa sociale, “Giovani in vita”, Domenico Luppino, ne è convinto. Tanto da aver chiesto alle istituzioni, ed in particolare all’Agenzia nazionale per i beni confiscati, che ha sede proprio a Reggio Calabria, maggiori chiarimenti in merito alla questione. Ad oggi nessuna risposta.

Tutto nasce quando il Comune di Oppido Mamertina, decide di assegnare alla cooperativa 8 ettari di terreni agricoli di natura uliveto in località Castellace, confiscati al clan Mammoliti. Non appena i terreni sono stati assegnati alla cooperativa di Luppino, quest’ultimo si è recato presso un Centro Assistenza Agricola per richiedere di inoltrare – come previsto dalle normative di politica agricola comunitaria – la domanda di aiuto economico. Ma, in quella sede, la risposta è stata che non si poteva procedere con tale richiesta perché sui terreni confiscati che erano stati affidati in gestione alla cooperativa, “terze persone continuavano a percepire gli aiuti economici”.

Dunque le stesse persone alle quali era stato sequestrato il bene o loro prestanome, continuano a ricevere aiuti comunitari erogati da un ente dello Stato (Agea o Arcea, il primo statale, il secondo regionale). Alla cooperativa sociale, per capirci, vengono assegnati i beni, la stessa ha l’onere di coltivarli, tenerli in ordine, occuparsi della raccolta dei frutti (olive in questo caso), lavorare con tutti i rischi che implica la gestione di un bene che fu dei boss. Mentre a chi quel bene è stato sottratto, resta la facoltà di intascarsi gli aiuti economici che, sostanzialmente, sono da sempre utili a integrare il reddito dell’agricoltore e proteggerlo da eventuali rischi insiti nel mondo della produzione agricola. A nulla sono servite le richieste d’aiuto di Luppino in questo senso. Né l’Agenzia dei beni confiscati ha risposto alle tante sollecitazioni. La denuncia non è servita neppure a fare un controllo su quei terreni per capire come stanno davvero le cose.

Succede in Calabria, come potrebbe accadere in ogni altro paese d’Italia. Così come accade che Luppino, che con la sua cooperativa gestisce anche altri beni confiscati a Limbadi, a Varapodio e a Sinopoli, rimanga isolato nella sua battaglia di legalità. “Giovani in vita” nasce come iniziativa socio-economica sul Piano Operativo Nazionale per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia 2002–2006, un accordo di programma che ha lo scopo di recuperare proprio le persone che sono state in carcere per reati minori o appartenenti a famiglie mafiose. L’unico modo per Luppino, allora sindaco di Sinopoli, di fare qualcosa di concreto in un territorio ad alta densità mafiosa. L’antimafia calabrese ha preso le distanze da questa realtà, soprattutto a seguito della relazione di scioglimento del Comune di Reggio Calabria che cita anche il Consorzio Terre del Sole (di cui faceva parte “Giovani in vita”), accusato di ricevere ingerenze da parte della criminalità organizzata. Non sono state prese in considerazione le innumerevoli intimidazioni – anche piuttosto gravi – che ha dovuto subire la cooperativa in tanti anni di attività. Luppino, nonostante tutto, non si scoraggia e dice: “Chi ha paura e chi deve nascondere qualcosa si ferma. Chi no va avanti”. E va avanti anche in un territorio in cui di antimafia spesso “si campa”.

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