Ieri, in diretta streaming, abbiamo conosciuto i parlamentari del Movimento 5 Stelle. In molti abbiamo provato un certo disagio apprendendo che Alessandro da Roma, avendo lavorato nella cooperazione, intende occuparsi adesso di economia e che Diego da Lecce, in quanto sommelier, si occuperà di agricoltura.

Riconosco che, se a fare una telegrafica presentazione di sé fossero stati chiamati i parlamentari dei partiti “tradizionali”, in buona parte dei casi lo spettacolo non sarebbe stato migliore. Che cosa avrebbero raccontato delle proprie esperienze politiche e aspirazioni istituzionali personalità come Mara Carfagna, Domenico Scilipoti o Gabriella Carlucci al loro primo ingresso in Parlamento?

Ma questo non allevia il mio disagio, anzi lo aumenta. Perché l’inesperienza o l’opportunismo dei parlamentari del M5S e di tutti gli altri partiti si sommano e insieme rafforzano il sempre più diffuso sentimento comune che chiunque possa occuparsi di qualsiasi cosa, pur senza avere alcuna preparazione specifica. Che è l’opposto della cultura del merito che pure in tanti, con alterne fortune, hanno invocato in campagna elettorale.

Come tutti i miei colleghi ho conseguito una laurea in economia, un dottorato di ricerca in economia, svolgo attività di ricerca economica e insegno economia all’università. Ma credo che dovrò studiare ancora molto prima di essere pronto a occuparmi di economia a un livello tanto elevato, quello delle istituzioni, al quale adesso legittimamente si troverà a operare Alessandro da Roma. Se per assurdo, da un giorno all’altro, fossi investito di una responsabilità istituzionale, mi farei aiutare, consigliare e in parte anche guidare da colleghi più esperti e più bravi di me, con competenze più specifiche delle mie. Dal professore che ha supervisionato il mio assegno di ricerca all’Università di Siena, per esempio, che ha una capacità di interpretare i fenomeni economici e sociali superiore alla mia. O dal mio collega che dopo aver concluso il dottorato in Italia ne ha conseguito un altro a New York, e possiede per questo delle categorie interpretative che a me mancano.

Perché il talento, la preparazione e l’esperienza contano, e non meritano di essere svilite dalla sfrontata tuttologia che viene quotidianamente esibita dalla nostra classe politica vecchia e nuova.
Perché non sempre uno vale uno, almeno quando ci sono da svolgere determinate funzioni. Riconoscere che un sommelier non può occuparsi proficuamente di agricoltura (proficuamente per il paese, si intende), e accettare che una soubrette abituata a ballare seminuda nei salotti televisivi non è la persona più adeguata a guidare il Ministero delle Pari Opportunità, sono passi importanti e simbolici nella costruzione di una cultura del merito.

Assistiamo invece a un rifiuto ostinato della complessità, che la retorica di Grillo ha sdoganato definitivamente. Tante volte mi è capitato di leggere, in dibattiti di economia online (su Facebook, su Twitter, sui blog e nei rispettivi commenti), frasi del tipo “ho fatto una ricerca su Google e in un attimo ho scoperto la verità”. La capacità di filtrare e comprendere informazioni su temi di grande complessità – come, per esempio, le conseguenze dell’uscita dall’Euro – non è innata. Si acquisisce studiando e, ancora di più, svolgendo attività di ricerca scientifica. Senza tali esperienze di studio e di ricerca – molto faticose e spesso ingrate – difficilmente si è capaci di distinguere quali fonti sono attendibili e indipendenti, e di comprendere le tesi complesse che riferiscono.

Il blog di uno studente di economia non ha lo stesso valore del blog di un giornalista economico che non ha lo stesso valore del blog di un economista insignito del premio Nobel. Coloro che rifiutano la complessità credono che sia possibile formarsi un’opinione autonoma con una ricerca di pochi minuti. Invece non fanno altro che cliccare “like” sulla prima opinione che li rassicura.

 

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