Fra un paio di settimane sarà in libreria il mio nuovo romanzo. Si intitola Crepe e, fra le altre, potrebbe essere definito un testo che parla della velocità con cui si consuma il tempo. L’Alta Velocità ferroviaria è il pretesto (Abbiamo davvero bisogno del tempo che ci fa guadagnare?), innumerevoli i correlati. Ci torneremo, e così si capirà quanto questo piccolo blog sia collegato alla vita che faccio, senza che io debba vergognarmi di nasconderlo.

Ci ripensavo, alla velocità con la quale si consuma il tempo, riferendomi alla lettura di Dylan Dog, il fenomeno editoriale di questi anni, diventato prepotentemente anche il fenomeno editoriale di questi giorni. Nel giro di una settimana, con la ristampa proposta da Repubblica, ho potuto leggere sei storie, le sei storie che nella prima edizione hanno impiegato sei mesi per uscire. Una settimana contro sei mesi: è una differenza abissale. Poi tutto sta a vedere se mi sono goduto quelle sei storie di più in modalità rallentata o in consumo bulimico. Ma questa, al momento, è una domanda che non mi pongo. Più avanti, chissà.

Accelero anch’io la cronaca. La quinta di quelle sei storie si intitola Gli uccisori. Siamo a Londra, è estate, una di quelle estati così calde che si fatica a trovare un paragone. Pian piano la gente comincia a sbroccare, e ammazza. Niente, insomma, che non possa accadere in una normale estate qualunque. Siamo però in un fumetto. Un fumetto non può spacciare la realtà senza in qualche modo intervenire nella sua consistenza. Se la gente comincia a sbroccare non può essere solo perché fa caldo, occorre un motivo superiore. Tiziano Sclavi questo motivo non fatica a trovarlo e così la storia può dipanarsi verso la propria lecita conclusione, che in Dylan Dog è quasi sempre la meno lecita fra quelle ammissibili.

Quando Sclavi lavora alle prime storie di Dylan Dog dividiamo un ufficio a Milano, zona Fiera, adiacente a piazza 6 Febbraio. Io dirigo la casa editrice L’Isola Trovata che Sergio Bonelli, l’editore di Tex, ha da poco comprato pagandomela giusto il trasferimento a suo carico di qualche debito. Sclavi è impegnato a sceneggiare una serie per la pubblicazione di punta dell’Isola Trovata, la rivista Orient Express. La serie si intitola Dellamorte Dellamore e racconta le storie di un tipo che Sclavi ipotizza essere un “indagatore dell’incubo”, qualunque cosa intenda con quella definizione.

Sclavi vuole che le sue sceneggiature siano disegnate da Claudio Villa, un giovane molto bravo a discapito del peso del nome. Lo stesso Villa in quei giorni riceve (tempismo eccezionale) da Sergio Bonelli l’offerta di disegnare alcune storie di Tex. Il figlio, Claudio, vorrebbe spaccare il mondo e disegnare sia Tex sia Dellamore Dellamorte. Il padre di Claudio, già biasimabile al momento della scelta del nome per il figlio, mette a segno il fuori combattimento: accetta che il figlio disegni Tex, punto a capo. Tex è come un’assicurazione sulla vita, pensa, e non ha torto.

Scalvi rimane senza disegnatore e non ne vuole altri; io rimango senza serial e non mi viene dato il tempo di trovarne altri; Bonelli mi dice che senza il nuovo serial di Sclavi è difficile che Orient Express si riprenda: meglio chiudere. Sclavi abbandona il progetto, fa diventare Dellamorte Dellamore uno dei romanzi che gli pubblica l’amico Raffaele Crovi per la casa editrice Camunia, poi ci ripensa e riprende anche l’idea dell’indagatore dell’incubo, solo che gli dà il nome più popolare e avvincente di Dylan Dog. Io perdo tutto e torno a Bologna. Un storia risaputa, insomma. L’ha cantata persino Claudio Baglioni. Correre felici a perdifiato, fare a gara per vedere chi resta indietro.

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