Dopo 113 anni cade l’ultimo tabù: dal prossimo 1 luglio anche il Barcellona avrà la sua storica maglia blaugrana ‘sporcata’ dal nome di uno sponsor commerciale. Il calcio moderno non ammette deroghe e ritardi se si vuole rimanere al passo con la concorrenza. L’accordo, appena ufficializzato dal vicepresidente Javier Faus, è la prosecuzione di quello stilato con la Qatar Sport Investment nel 2010, e che prevedeva che la società qatariota pubblicizzasse il marchio dell’associazione no profit Qatar Foundation dal 2011 al 2016 in cambio di 170 milioni. Una clausola del contratto dava però la possibilità a QSI di modificare il nome sulla maglia di Messi e compagni dopo due anni, cosa puntualmente avvenuta con il passaggio da un ente benefico a una compagnia aerea, che in comune hanno solo l’appartenere al medesima società: la Qatar Investment Authority.

Ovvero al fondo sovrano gestito dall’emiro Al Thani, il nuovo deus ex machina del calcio europeo che è anche proprietario del Paris Saint-Germain (che recentemente ha acquistato nove isole greche nel mar Jonio). E sponsor, con il contratto appena firmato tra la società parigina e la Qatar Tourism Authority: 170 milioni a stagione che rischiano di fare saltare il banco del fair play finanziario. Ma con il calcio europeo in crisi, e le perdite che per il solo 2011 la Commissione di vigilanza dell’Uefa ha scritto che ammontano a 1.7 miliardi (di cui la metà attribuibile a una decina di squadre), le sponsorizzazioni esotiche sono l’unica ancora di salvezza. E anche il Barcellona, che aveva fatto della maglia immacolata una dichiarazione di diversità, ha dovuto soccombere. Così, dopo aver prima scritto sulle maglie Unicef, con un accordo che prevedeva fosse il Barcellona a versare 1,5 milioni l’anno all’Unicef e non viceversa, e dopo l’intermezzo con la fondazione no profit, si è arrivati oggi alla compagnia aerea.

Tanto che adesso il nome dell’Unicef – che rimarrà con un piccolo logo sulla maglia a fianco dello sponsor principale, o sulla schiena – a molti sembra essere stato solo un cavallo di Troia, utilizzato dalla dirigenza per arrivare ad uno sponsor commerciale. E l’annuncio arriva, inoltre, proprio nel momento in cui sul campo il tiqui-taca di Guardiolana memoria sta mostrando i suoi limiti, e anche un ciclo calcistico si sta forse per chiudere. E se il vicepresidente Faus annuncia in conferenza stampa che il contratto del Barcellona è “il più remunerativo al mondo”, è solo perché non ha fatto i conti con gli stessi qatarioti, né con i loro cugini degli Emirati Arabi. E con le loro compagnie aeree. Detto del Qatar e dell’accordo col PSG, da Abu Dhabi arriva oltre mezzo miliardo per dieci anni nelle casse del Manchester City, per il nome Etihad Airways sulla maglia e sullo stadio.

Mentre da Dubai, Fly Emirates ha stretto una sponsorizzazione a partire dal prossimo anno con l’Arsenal (un rinnovo, che si aggiunge agli oltre 100 milioni che versa per i diritti del nome dello stadio) e con il Real Madrid, per una cifra vicina ai 40 milioni l’anno. La stessa che Chevrolet verserà dal 2014 nelle casse del Manchester United. E poco di più di quanto in Germania pagano Deutsche Telekom al Bayern e Gazprom allo Schalke 04: circa 30 milioni l’anno. Cifre che sono distanti anni luce da quanto la stessa Emirates paga al Milan (12 milioni) o da quanto prendono Inter e Juve dalle aziende di famiglia Pirelli e Jeep (rispettivamente 12,9 e 13 milioni). Mentre il Napoli, con il doppio sponsor Acqua Lete e MSC, fatica ad arrivare a 10 milioni. Anche in questo il calcio italiano è rimasto assai indietro.

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