Luigi Negri arriva a Ferrara tra un tripudio di clarine e autorità. Si è insediato nella sua nuova diocesi in mezzo a un bagno di folla accompagnato dai suonatori del palio il nuovo arcivescovo estense. Dopo sette anni a San Marino-Montefeltro il sacerdote, una delle più autorevoli voci della Cei, approda nella città estense, dove lascia per raggiunti limiti di età Paolo Rabitti.

Unico neo in questo abbraccio di fedeli, le scritte anticlericali comparse sui muri vicini al monastero di Sant’Antonio in Polesine. Dettagli rispetto al caloroso comitato di accoglienza, sindaco Pd in testa, di domenica. Il nuovo vescovo si era già presentato in sede di nomina con una calda lettera ai suoi nuovi fedeli all’insegna del “cristianesimo vissuto”, unico in grado di generare “una cultura vera della persona e del popolo” e che “fa nascere rapporti nuovi nella comunità e nel mondo caratterizzati dalla carità, che è inesorabile e positiva denuncia di quell’egoismo che domina la società”.

Carta d’intenti a parte, basta il curriculum a parlare per lui. Uomo di indubbia cultura, saggista e filosofo, Negri – 71 anni – è stato negli anni ‘60 uno dei primi allievi di don Luigi Giussani al Liceo Berchet di Milano. Dal 1965 al 1967 fu il primo presidente diocesano di Comunione e Liberazione e ancor oggi è un punto di riferimento del movimento.

Tanto da schiaffare in faccia a Giuliano Ferrara una lettera, pubblicata sul Foglio di metà novembre, in cui difende a spada tratta Cl, rifiutando la criminalizzazione di “questa storia di cui mi sento orgogliosamente partecipe”. Un’altra uscita di penna, ben più celebre, monsignor Negri la consegnò nel 2011 al periodico Tempi. L’allora vescovo di San Marino criticò l’azione della magistratura di Milano che incriminò Silvio Berlusconi per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile nell’ambito del caso Ruby: “mi sembra – scrisse nell’occasione Negri – che in questa guerra tra politica e magistratura, la seconda abbia già vinto. È lei ormai a fissare le regole senza avere alcun punto di riferimento o argine nell’apparato statale. Il potere giudiziario italiano è una realtà indipendente e sovrana che non risponde a nessuno dei suoi atti. Non si era mai vista una magistratura muoversi con la prepotenza con cui lo sta facendo oggi nel nostro paese”. E a chi gli fece notare che gran parte del mondo cattolico era indignato dal mondo delle Olgettine, Negri tagliò corto: “L’indignazione non è un atteggiamento cattolico”.

E nel suo discorso di insediamento (l’omelia durante la prima messa i duomo) il nuovo vescovo ha fatto capire che avremo di fronte un ministero che si preannuncia ‘interventista’: il ruolo di San Pietro per Negri deve essere “attivo e vigile”, dal momento che “la Chiesa non nasce per volontà di qualcuno, ma dallo Spirito Santo di Dio che investe l’aspetto fisico e culturale di un popolo. La Chiesa è nel mondo ed è per il mondo”. Una Chiesa che “non è solo un’istituzione, ma è soprattutto il popolo del Signore che tende a lavorare e camminare insieme per il bene comune”. Già in un recente passato monsignor Negri non ha esitato a correggere il tiro del vaticano, che appoggiava in maniera a suo modo di vedere troppa esplicita Monti: “serve più prudenza nell’ appoggio al Professore – catechizzò dalle colonne de ‘La Stampa’ a inizio anno – i politici vanno giudicati dai valori che difendono”.

Con l’arrivo di Negri a Ferrara si completa il quadro delle nomine a livello regionale. Uno spostamento di diocesi certamente benvoluto dal cardinale Caffarra, che può benedire anche l’arrivo dell’altro esponente di spicco di Cl, Massimo Camisasca, a Reggio.

Ad andarsene in pensione è invece Paolo Rabitti, arrivato in terra estense sotto l’effigie dell’Azione cattolica. Chiamato a sostituire nel 2004 proprio Cafarra, il vescovo ha lascia troppi rimpianti, facendosi ricordare più che altro per quanto non fatto. In primis il rifiuto di incontrare i genitori di Federico Aldrovandi (che lo raggiunsero in una sagrestia di una piccola chiesa solo grazie a un escamotage di un parroco amico) e l’ordine di tenere chiuse le porte della cattedrale nel giorno della manifestazione nazionale per ricordare la morte del ragazzo. In quell’occasione, nel 2006, arrivarono a Ferrara ottomila persone. Ottomila persone che sfilando in pazza Duomo, capirono così quale posizione avesse preso il vescovo nella vicenda.

La Ferrara della cultura, invece, lo ricorderà per aver chiuso metaforicamente altre porte, quella di Casa Cini, che fino alla morte di don Franco Patruno, nel 2007, era stato centro gravitazionale di artisti affermati ed emergenti provenienti da tutta Italia. Ora affitta spazi per uffici e conferenze.

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