Testata: NZZ
Data di pubblicazione 9 Gennaio 2013
Articolo originale di Franz Haas
Traduzione di Giampiero Budetta per www.ItaliaDallEstero.info

Il bel paese avvolto nella nebbia
Per un anno molti italiani hanno riposto la loro fiducia in Mario Monti, tuttavia troppi sono rimasti delusi. Il prestigio internazionale e i conti pubblici dell’Italia sono migliorati, ma la vita quotidiana è peggiorata sotto quasi tutti i punti di vista.

Secondo un luogo comune italiano, sotto Mussolini i treni e i postini erano di una puntualità esemplare. Se è così, allora l’Italia di oggi è ben lontana da una deriva fascista, perché i treni dei pendolari non sono mai stati in uno stato più pietoso, arrancando a fatica alle calcagna dei pochi treni ad alta velocità. E i postini di oggi probabilmente non sono più scansafatiche, solo che molti loro posti di lavoro sono stati tagliati e il servizio postale è pessimo come non mai: a Roma l’edizione internazionale della NZZ ormai arriva con anarchica regolarità ogni otto, dieci giorni, una bella pila di vecchie novità da tutto il mondo legata con lo spago.

Tasche sempre più vuote
Questi segnali di declino della vita civile magari, presi singolarmente, potrebbero rappresentare solo una coincidenza, ma sommati superano il livello di tolleranza che in Italia è sempre stato molto alto e che si è perso definitivamente di vista, avvolto dalla cortina di fumo propagandistica del ventennio berlusconiano. Quando l’impresentabile politico-clown, travolto da un bilancio di governo fallimentare, è stato sostituito da Mario Monti nel novembre 2011, tutta Italia ha tirato un sospiro di sollievo che però, col passare del tempo, si è trasformato in un rantolo. Monti è stato accolto dal consenso internazionale di governi e borse, con conseguente calo dello «spread», tanto vituperato dai suoi tecnocrati (termine inglese che definisce il differenziale di rendimento tra i titoli di Stato tedeschi e italiani, prima pressoché sconosciuto agli italiani), ma la busta paga media è diventata sempre più leggera.

Da Berlusconi Monti aveva ereditato un paese devastato, ma non la sua bacchetta magica, né la sua sfrontatezza populista. Ha aumentato le tasse in modo doloroso, colpendo però soprattutto i ceti meno abbienti che ora fanno fatica a pagare il mutuo della casa comprata a costo di tanti sacrifici, mentre i soliti noti dei piani alti ne sono usciti praticamente indenni. L’inflazione ha raggiunto di nuovo la soglia del 3 percento, mentre gli stipendi della pubblica amministrazione sono congelati da due anni e mezzo e la disoccupazione cresce, lenta ma implacabile. Così non sorprende che nel 2012 le immatricolazioni auto siano calate del 20 percento, così come il fatturato dello shopping natalizio. In compenso tra Natale e Capodanno c’è stato un altro genere di abbondanza: i comizi su tutti i canali Tv di Berlusconi, che ha esaltato di nuovo il suo ritorno e i suoi miracoli. Un incubo che si credeva finito.

Dalle dimissioni di Mario Monti a dicembre e dall’annuncio di nuove elezioni il 24 febbraio, l’ottovolante dei sondaggi è tornato a fare le capriole. Fare previsioni è difficile, anche perché il politichese dei candidati partorisce continuamente nuove cordate e la costruzione di possibili coalizioni assomiglia più a una partita a poker. Proprio dal professor Monti sarebbe stato lecito attendersi maggiore chiarezza. Ha temporeggiato per settimane prima di pubblicare un’«agenda» alquanto abborracciata e solo all’inizio di gennaio ha annunciato la discesa in campo con una lista elettorale prolissamente battezzata «Scelta civica con Monti per l’Italia». Il suo nome sovradimensionato sul logo è egocentricamente chiaro, a differenza delle intenzioni di questa «scelta civica», alquanto indistinte nelle loro professorale vaghezza. Le prime apparizioni televisive di Monti per la campagna elettorale sono state caratterizzate da una sincerità commovente quanto impacciata, così come i suoi primi passi su Internet con un’ora di cinguettii su Twitter con i suoi fans, in cui il serio e sobrio Monti si è lasciato persino sfuggire qualche smiley.

La Rete al potere
Pur con tutte le dovute cautele per gli scenari futuri, sembra che persino in un paese teledipendente come l’Italia Internet sia ormai assurto a principale opinion maker. Malgrado lo strapotere delle sue televisioni, le fortune di Berlusconi sembrano in declino, mentre il comico Beppe Grillo cerca esclusivamente sulla Rete, ma con grande successo, i voti per il suo partito che ricorda vagamente i Pirati nordeuropei. L’unico tratto in comune tra Grillo e Berlusconi è il populismo sguaiato. Monti si posizionerà accanto a loro con metodi più pacati, anche se negli ultimi giorni ha imparato anche lui a lanciare frecciate ai suoi avversari, soprattutto a Berlusconi, ma anche al leader del PD Pierluigi Bersani. Quest’ultimo dovrebbe riuscire a vincere le elezioni con un certo margine di vantaggio, ma non abbastanza netto per ottenere la maggioranza in entrambi i rami del parlamento, nemmeno con Nichi Vendola, il suo alleato collocato più a sinistra. È quindi presumibile che il balletto delle possibili coalizioni si prolungherà molto oltre la data delle elezioni, fino a una primavera triste e tormentata malgrado il sole.

Mentre temporeggiava ancora con la sua candidatura, Mario Monti ha avuto il sostegno di molti, della benedizione del papa e della stampa di centro. Ora che la vaghezza del suo programma di tagli alla spesa ha ceduto il posto alla certezza che, e pagarne le conseguenze saranno soprattutto i ceti meno abbienti e la classe media, persino alcuni alti prelati manifestano la loro preoccupazione per la «giustizia sociale». Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, ci ha girato un po’ intorno, menzionando il peccato, ma non il peccatore, dicendo però che una buona «agenda», per essere tale, dovrebbe innanzitutto «salvare lo stato sociale». Tempo addietro prediche analoghe sono state riservate anche a Berlusconi.

Per scongiurare il ritorno del disastro chiamato Berlusconi, un’alleanza tra Bersani e Monti sarebbe auspicabile. Ma “Il professore” ha già fatto sapere che in questo caso l’altro dovrebbe mollare il cattolico praticante Vendola, perché a parer suo è «troppo a sinistra» e soprattutto vuole troppo «stato sociale». Inoltre Monti ha dichiarato che sarebbe disposto ad accettare solo il ruolo di presidente del consiglio, anche in una coalizione con un «partner di minoranza», che probabilmente otterrà il doppio dei suoi voti. Non si sa, in tutto questo, dove cominci l’arroganza e dove finisca l’inesperienza politica. Ma una cosa è certa: con questi auspici per il Belpaese si preparano tempi duri.

Degrado sociale
Nel frattempo il tessuto sociale del paese si sta sfaldando. A Roma non passa una settimana senza una manifestazione furiosa contro l’emergenza di turno: ospedali che chiudono i battenti, ambulanze ferme, fabbriche chiuse, famiglie sfrattate in massa. Le due obsolete linee della metropolitana che servono una città di quattro milioni di abitanti fanno a gara a quale si guasta più spesso. Sempre più negozi tradizionali chiudono e vengono sostituiti da sale di video poker e dagli ormai onnipresenti «compro oro». A queste catastrofi quotidiane si aggiungono disagi cronici come il costante smantellamento della scuola pubblica, e la costosa e mostruosa burocrazia per assegnare nuove cattedre per l’insegnamento scolastico. Quando gli insegnanti di lungo corso leggono della «digitalizzazione delle lezioni» proclamata dai programmi elettorali di tutti i partiti non sanno se ridere o piangere. Perché in un istituto scolastico medio ormai sono più le aule pericolanti che i computer funzionanti.

Lo scrittore Andrea Bajani ha recentemente lamentato lo stato pietoso degli edifici scolastici, che in molti casi funzionano a malapena solo grazie al sostegno privato delle famiglie. Centinaia di migliaia di nuovi insegnanti devono mantenersi con stipendi da fame e incarichi precari, mentre il ministero dell’istruzione bandisce nuovamente un concorso per cattedre che non esistono. E ora le università offrono ai laureati che sperano in un posto fisso corsi di formazione per insegnanti, dietro il pagamento di prezzi esorbitanti. Praticamente una truffa, perché il numero di cattedre disponibili sarà molto esiguo.

In materia di formazione, anche l’«Agenda Monti» appare molto lontana dalla realtà, quando afferma che «ogni singola facoltà» deve adattarsi alle esigenze del mercato del lavoro. Il professor Monti e i suoi consulenti dovrebbero sapere che nelle università italiane non ci sono più le facoltà, cancellate da una legge del governo Berlusconi nel 2010. Ciò che all’epoca è stato elogiato come un risparmio della spesa pubblica ha creato solo caos organizzativo, dal quale le università solo ora si stanno lentamente riprendendo. Molto si scrive delle pessime condizioni dell’insegnamento e della ricerca, così come del degrado di biblioteche, musei e teatri, però senza quasi nessun riscontro concreto nei programmi elettorali.

Il silenzio degli intellettuali
Uno dei più instancabili critici è il noto storico dell’arte Salvatore Settis, che spesso denuncia ad alta voce il degrado della cultura nel deserto della politica, ad esempio la chiusura della biblioteca della prestigiosa università di Pisa. Anche il direttore d’orchestra Riccardo Muti lancia dalla lontana New York i suoi strali contro la decadenza provinciale dell’arte in Italia. Altrimenti gli intellettuali di spicco si tengono stranamente a distanza, anche nell’attuale tira e molla dei partiti, che in fondo riguarda anche la sopravvivenza della cultura. Famosi scrittori come Alessandro Baricco e Roberto Saviano hanno declinato con cortese fermezza una candidatura in parlamento. Saviano scrive regolarmente su «L’Espresso» ma, alla pari di Umberto Eco, difficilmente si occupa di questioni di attualità politica. Solo il filosofo Massimo Cacciari invoca, con le sue consuete peripezie dialettiche, ma in modo inequivocabile, un’alleanza della ragione tra Bersani e Monti.

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