Oggi è il giorno delle elezioni. A Roma fa freddo, ma non piove. Niente alibi. Mi sono svegliato presto e sto andando a mettere un segno sul mio segno. Non sono uno degli indecisi che deciderà all’ultimo momento. Ho le mie vecchie chiare idee, piene di dubbi ma anche di certezze.

Il mio seggio elettorale è a qualche centinaio di metri da casa mia. La città, come tutte le domeniche mattine, sembra un’altra. Poche macchine, poche persone, poco rumore. C’è ancora poca gente anche al bar dietro casa, quello famoso in città per il tiramisù, che tra qualche ora diventerà un inferno di persone e di macchine in seconda, terza, quarta fila. Compro il giornale dal solito giornalaio, che ha messo in bella mostra la sciarpa della Lazio: se è contento lui, va bene anche così. Mentre sto andando verso la scuola in cui devo votare, incrocio il bambino che vive dalle suore perché non ha mamma e papà, che va nella stessa scuola dei miei figli e che ogni volta che mi vede mette le mani agli occhi come fossero un binocolo.

E’ il nostro saluto, da quando mi ha visto fare quel gesto giocando con uno dei miei figli. Non so perché, sarà il cielo grigio, sarà il freddo, sarà che non sto bene fisicamente, sarà la sciarpa della Lazio, sarà il mio piccolo amico, ma non vedo un motivo per andare a votare. Perché il voto deve essere un’espressione di fiducia, di lotta, di tenacia, di speranza, anche di rabbia, se serve. Attraverso i corridoi sporchi e spenti della scuola. Entro nella sezione e metto il segno sul mio segno. E mentre voto mi ritorna la voglia di vivere: con rabbia e con determinazione, un futuro migliore, magari per il mio piccolo amico e tutti i suoi coetanei, abbiamo l’obbligo di costruirlo. Votare può essere un inizio.

 

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