Se non avete letto “Elogio della Fuga” di Henri Laborit, del 1967, nell’attesa di farlo, come vi suggerisco, potete attardarvi in qualche ulteriore riflessione prima di decidervi in ogni caso a darvela a gambe levate da ciò che preferite.

Dunque riflettendo, se saggi, portatevi via una dose di sempre necessaria nostalgia tritando un carciofo dopo averlo mondato con grande attenzione e stufatelo in un padellino con un centimetro d’acqua. Raggiunta una morbida croccantezza, sparita ogni umidità, conditelo con buon olio e il succo di un mezzo limone, aggiungendo una generosa quantità di cozze sbollentate, sgusciate e frantumate sgarbatamente, più una bella macinatura di pepe nero. Dopodiché arrostite le solite due fette di pane agliandole garbatamente prima di caricarle con il saporoso intingolo.

Se nessun vino si adatta al carciofo, come chi se ne intende non evita mai di ricordarci, voi come me provate, senza più riflettere ma a fuga avvenuta, con un tsipuro di Volos bello ghiacciato appoggiando i piccoli bicchieri su un tavolo che possibilmente dev’essere con lo sguardo a mare. 

Articolo Precedente

Faccia a faccia con il deserto: sfida solitaria con lo zaino in spalla

next
Articolo Successivo

La ricetta di Alessia Vicari: ideologia del polpettone

next