Oscar Giannino colpito e affondato farebbe quasi pena, come le sue tenute voglio-e-non-posso da casino dei nobili di Cirié. Ma l’invasione degli ultracorpi venuti dallo spazio, di cui il sedicente economista col feticismo del pelo è solo uno dei tanti baccelli, non si è certo arrestata.

Si diceva, Giannino fa “quasi” pena, quando si ritira dicendo “chi sbaglia, paga”. Lodevole principio, che però non vale nel suo caso: lui lo sapeva benissimo di ostentare curricula taroccati. Per cui il sano rigorismo del “chi sbaglia” qui non c’entra; semmai si dovrebbe utilizzare la formula anti-furbetti del “chi è scoperto a rubare la marmellata, paga”. Anche se i tempi e modi dello smascheramento restano altamente sospetti: il ferreo censore Luigi Zingales scopre solo ora la natura pataccara delle credenziali esibite dal leader a cui si era legato per le prossime elezioni? Solo adesso fa i necessari controlli, a una settimana dal voto? Quasi si direbbe un regalo a Berlusconi, di solito molto generoso con gli Scilipoti di turno.

Quello che però più interessa è il fenomeno generale, portato alla luce dalla personale catastrofe gianniniana: l’invasione dell’Italia da parte dei baccelli di ultracorpi che, all’insegna del liberismo mercatista e pro Stato minimo, si sono silenziosamente impadroniti di tutti i gangli vitali dell’informazione e degli spazi disponibili negli organigrammi del potere. Da dove provengono questi androidi? Un incubatore di tale orrore venuto da lontano è stata la Federazione Giovanile Repubblicana. Ossia la covata di quel Davide Giacalone (1959), segretario Fgr dal 1980 al 1984, che poi si distinse quale assistente del ministro Poste e Telecomunicazioni Oscar Mammì, stipulatore sotto dettatura della prima pax televisiva a vantaggio di Mediaset.

Dunque, scuola di assoluto cinismo; dove ritroviamo lo stesso Giannino (1961) come successore del Giacalone e perfino un certo Enrico Cisnetto (1955), la cui “ditta” organizzava tour per Vip a Cortina e ci ha provato anche nella Roma di Gianni Alemanno. Il filo conduttore è sempre quello del carrierismo, che a livello accademico si incrocia con il fanatismo ideologico: la malattia del pensiero economico mainstream in età NeoLib, che nel nostro Paese assume aspetti grotteschi; particolarmente nei suoi prodotti da esportazione. Come lo Zingales, docente di Chicago e opinionista de l’Espresso, che se ne stava nell’entourage del noto liberale Mitt Romney, quello che se ne frega della metà degli americani al di sotto di una certa fascia di reddito; o l’Alberto Alesina, docente ad Harvard e notista del Corsera, che considera la rielezione di Obama un disastro in quanto “presidente spendaccione”. Per non parlare dei pretenziosi comprimari alla Alberto Bisin e Michele Boldrin, che lanciano il ruggito del topo apponendo la loro firma al documento degli ottocento economisti mercatisti che sospettano il presidente degli Stati Uniti di statalismo socialista.

Una genia che ormai occupa le pagine del commento economico di buona parte della stampa nazionale. Eppure una genia a rischio, come il “caso Giannino” indurrebbe a pensare. Infatti in questa parte del mondo continuiamo a essere mentalmente prigionieri del mood culturale di ieri, sicché i baccelli degli ultracorpi liberista-fanatico ancora riescono ad attecchire e prosperare. Ma dall’altra parte dell’oceano il clima sta rapidamente cambiando, anche alla luce dei disastri creati dai deliri privatistici del recente passato. C’è dunque la concreta speranza che un vento proveniente dall’Atlantico presto spazzi via non solo le scemenze presunte austere dei burocrati di Bruxelles, rilanciando politiche industriali di sviluppo (come dice Carlo Galli nel suo ultimo pamphlet, “un new, new deal”), ma ci liberi pure dall’orrida invasione dei baccelli venuti dallo spazio profondo del rampantismo arrembante.

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