La prima discesa in campo di Silvio Berlusconi? Non risale al 1994, ma alla seconda metà degli anni Settanta. Lo rivela in un’intervista ancora parzialmente inedita Ezio Cartotto, ex dirigente democristiano, stretto collaboratore del Cavaliere fin dai tempi di Milano 2, nonché artefice – assieme a Marcello Dell’Utri – della nascita di Forza Italia. “Comitati di Partecipazione”: sarebbe questo il nome della prima creatura politica fondata dall’allora semisconosciuto magnate di Arcore.

“I comitati avevano un modello ben preciso – racconta Cartotto –, quello del Cln. Le Brigate Rosse stavano destabilizzando il Paese, il Pci era in piena ascesa. C’era il rischio di un colpo di Stato anticomunista. Ragionammo in questo modo: se qui fanno un golpe di destra, noi dobbiamo essere pronti a sostituire con una nuova classe dirigente la classe dirigente che si è fatta fregare. Allora ci vogliono soldi e uomini. Un po’ di soldi Berlusconi poteva tirarli fuori: a lui interessava mantenere il controllo della situazione. Se fossero saliti al potere i golpisti, Silvio sarebbe finito nei guai: di certo, non sarebbe mai riuscito a condizionarli. Avrebbe dovuto ricominciare daccapo. I Comitati rappresentavano la base su cui ricostruire il paese dopo il disastro. Bisognava mettere in piedi una nuova classe dirigente”. Come dire: Forza Italia prima di Forza Italia, un progetto ambizioso e visionario, ma del tutto riservato.

La struttura – finanziata con i capitali del Cavaliere – fu creata in seguito alle vittorie comuniste del 1975-’76, che secondo le previsioni degli analisti berlusconiani avrebbero potuto generare una reazione autoritaria da parte delle destre, con l’appoggio degli Stati Uniti. Le riunioni si svolgevano in via Rovani, presso la residenza milanese del Cavaliere. La congiuntura politica fu attentamente analizzata, così come i possibili sviluppi: “Dopo l’eventuale golpe, il potere sarebbe passato nelle mani di un governo di transizione – afferma Cartotto –. Un esecutivo non interamente militare, ma con una forte presenza di generali. Sarebbero state varate le necessarie modifiche costituzionali. Dopodiché, dopo un paio d’anni, si sarebbe tornati alla democrazia: una democrazia più solida, più stabile. È qui che sarebbero entrati in gioco i Comitati”. I lavori della neonata organizzazione proseguirono per oltre un anno – “dodici, quattordici mesi” – fino a dopo la morte di Aldo Moro. “Nell’estate del 1978 – spiega l’ex funzionario Dc – il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa fu nominato Coordinatore delle Forze di Polizia e degli Agenti Informativi per la lotta contro il terrorismo. Fu un passo decisivo: di lì a qualche tempo, la situazione migliorò. Le Brigate Rosse furono sconfitte, e fu chiaro a tutti, a quel punto, che la rotta era cambiata: non ci sarebbe stato nessun golpe”.

Erano gli anni della P2, alla quale Silvio Berlusconi aderì il 26 gennaio 1978. I Comitati di Partecipazione – stando alle parole di Cartotto – non avevano nulla a che vedere con le logge massoniche, ma si erano dotati di una complessa struttura verticistica: “Per prima cosa cominciammo a buttare giù delle liste – dice Cartotto –. Io avevo fatto una relazione proponendo una cosa piuttosto maligna: bisognava nominare cinque soci fondatori, che avrebbero dovuto designare un certo numero di soci per un periodo di tempo limitato, supponiamo due anni. Dopo due anni i soci designati cambiavano, ma i fondatori mai”. E chi erano i soci fondatori? “Io credo di esserci stato. Credo che ci fosse Berlusconi. E poi Dell’Utri, Confalonieri, e forse anche Vittorio Moccagatta (uno dei principali collaboratori di Berlusconi fino al 1984, che smentisce la sua partecipazione al progetto ma conferma l’esistenza dei Comitati: “Lo scopo era quello di formare una nuova classe dirigente – dice –. Se non ricordo male, l’iniziativa nacque in collaborazione con Don Giussani e l’ala politica di Cl. Durò molto poco e io non vi presi mai parte”). Nelle liste venivano inserite varie personalità provenienti dal mondo politico e imprenditoriale. Ma non solo: “La mia idea era questa: dovevamo cercare di mettere piede in ogni singolo ambiente professionale. Ad esempio, c’era il Tribunale di Milano: un luogo importantissimo, come ben sappiamo. E già allora, su quel fronte, si stavano addensando certe brutte nuvolacce nere”. I politici coinvolti provenivano da quasi tutti i partiti dell’arco istituzionale – con l’esclusione, ovviamente, del Pci: Democrazia Cristiana, Partito liberale, Partito socialista, Partito socialdemocratico.

Un modello politico che verrà replicato, 17 anni dopo, con la nascita di Forza Italia. I potenziali aderenti venivano avvicinati con particolare cautela, ma non tutti – nonostante ciò – risultavano abili per l’arruolamento: “Ricordo il mio incontro con un dirigente delle Acli piuttosto influente – racconta Cartotto –. Un bel giorno mi sedetti a parlare con lui. Volevo coinvolgerlo nel mio elenco. Presi la cosa molto alla larga, e lui partì in quinta: ‘Bisogna cambiare tutto, certo! – gridava – Tutto si basa sulle tre esse: successo, sesso e soldi! Bisogna finirla’. Ho fatto subito marcia indietro: ‘Questo qui – mi sono detto – lo va a raccontare a tutta Italia’”. Anche don Giussani – che all’epoca aveva da poco conosciuto il Cavaliere – fu messo a conoscenza: “Ma non entrò mai nei Comitati. Aveva altro da fare: doveva preparare la sua gente, la sua classe politica. Però don Giussani sapeva dei Comitati, e diceva che erano una cosa buona. Diceva: ‘Qualunque cosa succeda, sono una cosa buona’”. I verbali delle riunioni, le carte e i documenti sono ancora conservati – forse – negli oscuri meandri di qualche archivio. “Bisognerebbe chiedere a Silvio – sorride Cartotto –. Credo che lui abbia ancora molti documenti: le carte dei Comitati, che io sappia, sono rimaste in mano sua”.

di Maria Elena Scandaliato e Andrea Sceresini

da Il Fatto Quotidiano del 21 febbraio 2013

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