Dopo l’udienza della mattina, ci sarebbero state due ore prima della ripresa, stabilita per il pomeriggio. Quindi – come non detto – c’era da vedere la città! New York, New York. Assolutamente!! Nova York, come insisteva a chiamarla quel piccolo sostituto, che manco dal suo paesello si era mai mosso. E ora era qui, a fianco del più grande magistrato d’Italia (dicevano, in pochi, in Italia). Il più grande “di tutti i tempi”, a sentire gli americani. Sempre esagerati. “Tempi che cambiano, grazie a Te, Johnny” si auguravano gli agenti della FBI che lo circondavano giorno e notte, manco fosse il Presidente degli Stati Uniti d’America.

Ma non tanto per la protezione, che a differenza di quella italiana, era massiccia. Era più con un senso di profondo rispetto professionale e di genuina simpatia per la sua persona, che gli dimostravano sempre. Lo consultavano in continuazione e ascoltavano attentamente quello che diceva con quel suo modo – per loro, professionisti come lui – di autorità innegabile. E poi così discreto.

Ma a dire il vero, a New York faceva un freddo cane e alle 15 era già buio pesto, con un cielo viola furioso che solo a guardarlo venivano i brividi. Verrà una tempesta – bisogna decidersi subito: o l’Empire State Building oppure la Statua della Libertà. Una volta in strada, a pescare un tassì dal fiume giallo che si faceva Broadway, iniziava una poggia fortissima, rumorosa come pistolate, sparata contro i marciapiedi.

Inevitabile che finisse il sogno turistico e che il comitato inzuppato corresse al caffè più vicino. In due gruppi parlavano ininterrottamente tutti insieme, entrando in quell’ambiente caldo.

“…magari Little Italy – solo 5-6 traverse più su. Al limite, Brooklyn, dai! Guarda là: quello è proprio il ponte di Brooklyn, ragazzi!..”

“No, quello, veramente è un’insegna che dice c’è il ponte, cioè – più in là. Chi sa quanto dista in questo immenso…”

“…Bob dice che abbiamo Galante su bobina, dicendo che l’ha fatto fare a un tizio che sapevamo fosse uno zip, ma che questo –”

“What? Sory. I don’ unnerstan’. You say “zip-pe” ?

“Zip, Giovanni, zip. Così si chiamano quelli, cioè i siciliani d’origine che quando parlano nemmeno i vecchi capi italo-americani li possono capire, quanto è veloce il loro dialetto; autentico, stretto-stretto. Le parole parono di sorpassare ogni comprensione; troppo veloci…zzzip! “

“Sai, Johnny, quelli che ci indicavi come arrivati from the Old Country a fare il lavoro pesante; prima la ricezione al porto, poi la distribuzione nelle pizzerie. Considerati così esperti e spietati che dopo, gli hanno fatto fare solo il lavoro importante o difficile. Capisc’?”

“I see.”

“Disciplinati e bravi. Molto più avanti dei loro compagni italo-americani; per organizzazione e idee. Capivano al volo cosa c’era da fare e non si tiravano indietro.”

“Come Te, con noi, Johnny.”

“AhAh, giusto! Proprio come fai Tu con quelli della DEA .”

“Eh, già, che volete dire, ragazzi? Che Giovanni è il nostro Zip!? Ma dai!”

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Ho 22 anni, e voglio essere figlia delle idee. E della verità

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