Le prossime elezioni saranno le prime degli ultimi dieci anni in cui i cittadini italiani saranno privati di un confronto televisivo diretto tra i principali leader in campo. Colpa della par condicio ma, ovviamente, non solo. C’è una guerra politica in corso che non si vede, ma che si sta combattendo con la stessa efferatezza di quella per la vittoria elettorale: è la nuova “guerra del controllo delle tv”. Che passa anche da un confronto tv che non si può fare, ma che s’incendierà un minuto dopo la proclamazione del risultato elettorale. Come sempre negli ultimi vent’anni.

In queste ore, Berlusconi preme sulla tv pubblica, insistendo oltre misura perché venga organizzato un faccia a faccia “ma solo con Bersani”, in senso “risarcitorio” per non aver spostato il Festival di Sanremo che gli avrebbe tolto “una settimana di campagna elettorale”. Monti ha invece chiesto ufficialmente un confronto a tre, mentre il leader Pd non ne vuole sapere di scontrarsi, casomai, solo con il Cavaliere. Una ridda di veti incrociati che, però, ha una lettura diversa da quella che si potrebbe facilmente immaginare, ovvero la convenienza politica del momento; di mezzo c’è, ancora una volta, il controllo della tv pubblica e, in questa fase, dei suoi traballanti vertici. Da lunedì, dunque, si parlerà anche – e intensamente – di Rai.

Berlusconi ieri ha festeggiato la decisione del cda di Telecom di formalizzare la vendita di La7 solo con Urbano Cairo, ex uomo di stretta osservanza arcoriana, ma contemporaneamente sente affievolirsi il suo peso specifico dentro la Rai. Che ora, proprio in seguito alla decisione del cda di Telecom, diventa motivo di nuovi appetiti e assetti politico-mediatici. Insomma, il Cavaliere sta perdendo terreno in azienda, ma non ha alcuna intenzione di lasciare il campo ai democratici. Che, invece, hanno idee piuttosto bellicose sul futuro della tv pubblica. Nel mezzo, un debolissimo dg Rai, Luigi Gubitosi. In barba all’arroganza, tutta montiana, dimostrata nelle prime ore del suo mandato, oggi il ‘montiano’ di viale Mazzini pare non avere più in mano saldamente le redini dell’azienda. E quanto la situazione gli stia sfuggendo politicamente di mano lo si capirà domani, quando sul tavolo del cda Rai, con un consigliere Antonio Verro del Pdl ormai con un piede fuori dalla porta della Rai e dentro il Senato, verranno portate le nomine dei nuovi vice direttori di rete; non ce n’è neanche uno targato Pdl. E questo ha fatto infuriare Paolo Bonaiuti, portavoce e factotum berlusconiano sul fronte mediatico. Ieri, non a caso, Bonaiuti ha pressato in modo inverosimile i vertici Rai per il confronto tv tra il Cavaliere e Bersani. Il tutto mentre Augusto Minzolini, scagionato dall’accusa di peculato, portava l’ennesima aggressione sempre a Gubitosi chiedendo il reintegro al Tg1. Ovviamente in nome e per conto del Cavaliere.

La nuova guerra della Rai, insomma, è appena cominciata. Se salteranno, come probabile, le nomine dei vice direttori di rete, per Gubitosi si aprirà un periodo di turbolenza interna dagli esiti scontati. Perché i primi a volerlo dimissionare anzitempo, paradossalmente, sono i vertici del Pd, non Berlusconi. Insomma, mentre le truppe del Cavaliere in Rai serrano le fila tentando di resistere all’avanzata del nuovo corso, con i dirigenti in quota berlusconiana (a partire da Comanducci) che non ne vogliono sapere di essere incentivati lautamente verso la pensione, a Largo del Nazareno si fanno i conti su come “conquistare” viale Mazzini subito dopo il voto in modo morbido. Casomai attraverso una rilettura del contratto di servizio tra Stato e Rai, che è in scadenza.

In pratica: Bersani, durante il governo tecnico montiano, ha accettato che il cda di Gubitosi-Tarantola avesse poteri straordinari per risanare l’azienda e raggiungere un grado di equilibrio politico che consentisse di avere una Rai “pulita” in vista delle elezioni. Gubitosi (il dg che vuole portare l’attacco a Google e Youtube ignorando che la Rai ha un accordo siglato nel 2008 con entrambe le società internet), nonostante i poteri speciali, non è riuscito a portare a termine nessuno di questi due, fondamentali, obiettivi: il risanamento dell’azienda è di là da venire, non si ha traccia del nuovo piano industriale targato Mc Kinsey, è stato siglato il contratto di lavoro con i dipendenti, ma il piano di incentivazione agli esodi dei dirigenti – come si diceva- è stato bloccato dalla chiusura dell’Adrai, il “sindacato” dei dirigenti Rai diretto dal democratico Andrea Lorusso Caputi (che, però, starebbe per intascare la nomina a dirigente della moglie). Prosegue, poi, con estrema lentezza, il tentativo di recupero delle vistose perdite pubblicitarie maturate in epoca in cui governava la berlusconiana Lorenza Lei, oggi alla Sipra, e solo il successo di Sanremo ha strappato un sorriso ai piani alti di viale Mazzini. I berlusconiani, intanto, mantengono saldamente le posizioni di sempre. Il tutto con una presidente, Anna Maria Tarantola, che pesa enormemente sulle casse dell’azienda (è considerata sempre in trasferta da Milano, dunque “costa” il doppio), ma il cui apporto professionale è ancora tutto da dimostrare. L’affaire Mps, a quanto sembra, l’ha convinta – specie negli ultimi tempi – a mantenere un profilo sempre più basso. Troppo basso, però, anche per gli standard Rai.

Insomma, non gira affatto bene per i vertici “bocconiani” di viale Mazzini. Tanto che Bersani, subito dopo le elezioni, avrà gioco facile nel tentativo di sostituzione. Come? Attraverso il contratto di servizio, si dice. Cioè: il Pd vorrebbe inserire dentro il contratto in scadenza un cambio di regole per la governance della tv pubblica? La cosa appare un po’ in salita. La verità è che in questi giorni da parte del ministero dello Sviluppo Economico guidato ancora da Passera, ci sarebbe stata un’accelerazione nel tentativo di arrivare a rinnovare prima del voto il contratto di servizio. Questo ha profondamente indispettito i vertici Pd che vogliono usare quel contratto come un grimaldello per dare il via alla nuova legge sulla governance Rai accanto a quella sul conflitto d’interessi che ha in mente Bersani. Per questo, subito dopo il voto, la Rai diventerà nuovamente un campo di manovra politica di primo piano. Passano gli anni, ma gli assetti del potere si decidono tutti sul controllo delle televisioni. E finché sarà in politica il Cavaliere, nulla cambierà più di tanto su questo fronte. Ma per fortuna “torna Carosello”. E siamo tutti più felici.

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