L’unica vera esperienza politica della mia vita è stata la candidatura al Comune di Milano del maggio 2011. L’unico partito che me l’ha permessa è stato l’Italia dei Valori in appoggio al Sindaco Giuliano Pisapia. A nessuno interessavano veramente le mie idee sulla sanità a cominciare dai vertici del partito. Naturalmente non fui eletto e mi dimisi dal partito dopo due mesi e qualche giorno dalla firma della candidatura.

Nell’Italia dei Valori, nonostante le note vicende di Di Pietro, non mancano persone che credono nel cambiamento, che appartengono al “partito dei cittadini” anche se hanno una casacca. Ho incontrato in questi giorni Salvatore Procopio, candidato dell’Idv in regione Lombardia in coalizione con Ambrosoli Presidente, mi sono “rivisto” nelle vesti di candidato e con lui ho discusso di alcune idee socio-sanitarie.

Nei livelli essenziali di assistenza (Lea) determinati dal DPCM del 29 novembre 2001, all’interno della macro area delle cure distrettuali è prevista “l’assistenza sanitaria e sociosanitaria alle donne, ai minori, alle coppie e alle famiglie; l’educazione alla maternità responsabile e la somministrazione dei mezzi necessari per la procreazione responsabile, la tutela della donna e del prodotto del concepimento, l’assistenza alle donne in stato di gravidanza, l’assistenza per l’interruzione di gravidanza l’assistenza ai minori in stato di abbandono e situazione di disagio, adempimenti per affidamenti e adozioni. E ancora, sono garantite le attività sanitarie e sociosanitaria a favore delle persone con problemi psichiatrici e delle loro famiglie”.

Ebbene, se è già difficile effettuare controlli sull’efficacia e l’efficienza di interventi squisitamente sanitari, che hanno una base scientifica più solida, che si fonda (o dovrebbe) basarsi sull’evidenza scientifica e clinica, immaginiamo quanto possa essere difficile valutare gli interventi di tipo socio-sanitario, per loro natura caratterizzati da minor definitezza e strettamente legati al contesto sociale, geografico e storico in cui avvengono.  Eppure, non si tratta certamente di interventi di serie B.

Garantire che un minore, vittima di maltrattamenti, abbia la migliore cura e assistenza possibile non può non essere considerato prioritario ed essenziale per far sì che il “diritto alla salute” non sia solo uno slogan.

Lo stesso dicasi per la malattia mentale. A tali patologie dovrebbero essere destinate risorse adeguate in modo che i famigliari, ad esempio, dei pazienti psicotici non siano abbandonati a se stessi, ma vedano i loro cari inseriti in un Percorso Diagnostico Terapeutico e Assistenziale (PDTA) definito e rispettato nei tempi e nelle modalità di realizzazione e che rispecchi i migliori standard oggi riconosciuti in letteratura alla luce delle risorse presenti sul territorio. E ancora, non è forse una grave violazione del diritto alla salute il fatto che un bimbo che necessiti di una visita neuropsichiatrica per problemi di apprendimento debba aspettare mesi per una prima visita e altri mesi poi per ricevere un trattamento logopedico? Soprattutto quando sappiamo che più è precoce l’intervento, migliore è la sua efficacia (unica alternativa: rivolgersi al privato e pagare, visto che i privati-convenzionati non sono interessati a queste discipline, forse perché poco remunerative). E infine possibile che a Milano un genitore che vive la sofferenza di un figlio adolescente con problemi psichiatrici acuti lo debba vedere ricoverato o nella psichiatria destinata agli adulti (potenzialmente traumatica) o in pediatria (potenzialmente inadeguata per le acuzie psichiatriche) perché in tutta l’Asl di Milano non c’è solo un posto letto in neuropsichiatria?

Ma come fare per non perdere l’occasione di migliorare il sistema? Dobbiamo vedere – mi dice Procopio – quali sono gli interventi efficaci in termini di risultati per le persone che ne usufruiscono. Ad esempio i progetti di prevenzione per la salute nelle scuole funzionano? Il fatto che in una scuola venga effettuato un corso sulle malattie sessualmente trasmesse o sulla sessualità ha una ricaduta reale in termini di prevenzione? Qualcuno ha mai valutato questo o ci si è solo limitati a conteggiare se l’ente erogatore del corso abbia rispettato il numero di ore previste dalla regione? La porta è stretta, ma si deve passare per forza da lì: vedere cosa funziona e cosa no in termini di salute delle persone, togliere quello che non funziona e mettere a sistema quello che invece serve davvero”.

Sono contento che molti candidati della coalizione Ambrosoli pensino che solo controlli severi possano portare “salute”. Io lo dico almeno da 10 anni, e solo una svolta netta nella presidenza della Regione Lombardia può essere veicolo di questa idea: #iostoconambrosoli. 

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