Più lavoro, meno soldi in busta paga. Così funziona il circolo vizioso dell’economia di consumo a Madrid: meno guadagni, meno acquisti, peggiori risultati per le aziende, tagli di personale o riduzione dei salari. Poi c’è l’accordo raggiunto dall’Anged, l’Associazione nazionale della grande distribuzione spagnola, coi sindacati di categoria Fetico e Fasga: via i festivi conteggiati, 26 ore di lavoro in più, stipendi congelati con possibilità di decurtazione fino al 2016.

È stato un anno triste per il commercio iberico, il quinto coi registratori di cassa vuoti. Il crollo delle vendite nel 2012, del 6,8 per cento, è il più brutto dall’inizio della crisi, secondo i dati dell’Istituto di statistica nazionale. Senza contare l’aumento dell’Iva. Da una parte la Spagna affronta ancora una recessione profonda, dall’altra un tasso di disoccupazione record del 26 per cento. Da gennaio 2012, il numero degli spagnoli in cerca di lavoro è aumentato del 8,3 per cento. Nei primi due mesi dell’anno sono quasi 6 milioni i senza lavoro, mentre il Fondo monetario internazionale stima un calo del prodotto interno lordo dell’1,5 per cento.

Sta di fatto che la ricetta siglata pochi giorni fa dalla grande distribuzione – El Corte Inglés, Carrefour, Ikea, Cortefiel, C&A, Alcampo, Leroy Merlin tanto per intenderci – e i sindacati del settore non ha precedenti. I 320 mila spagnoli impiegati nelle grandi catene lavoreranno 26 ore in più all’anno – fino a un totale di 1796 – con lo stesso stipendio e fino al 2016. Certo, le parti promettono di sedersi attorno al tavolo delle trattative per studiare future modifiche, ma solo se nei tabulati delle vendite comparirà di nuovo uno segno positivo. E non solo. L’accordo cancella gli extra per i giorni festivi. Insomma che si domenica o lunedì a Madrid importerà poco. L’impresa sborserà dai 350 ai 500 euro, ma solo per i dipendenti che nel 2012 hanno lavorato nei giorni festivi tanto da aver diritto a più di 350 euro in busta paga. Peccato però che la maggior parte in media abbia maturato tra le 150 e le 170 euro, come denunciano i sindacati Ccoo e Ugt che si sono rifiutati di firmare il documento. Ma c’è di più: il nuovo contratto collettivo stavolta obbliga tutti ma proprio tutti, con tanto di clausola, al lavoro domenicale. Se poi l’azienda non ce la fa, e le vendite soffrono una caduta del 27 per cento nei prossimi tre anni, una postilla permetterà di rescindere il contratto. Insomma, giganti come Ikea o Carrefour, ad esempio, potranno riformulare il contratto aziendale, liberi di imporre ulteriori tagli di stipendi. Messa la firma, tutti alle proprie postazioni. “È l’unico modo per mantenere tutti i posti di lavoro”, ha spiegato Antonio Pérez, responsabile di Fetico, a difesa dell’accordo. Ma gli spagnoli non ci stanno. Tanto più se si lavora per i gruppi più forti nel mercato europeo, e non solo.

Per Ikea, ad esempio, la crisi si è rivelata una grande opportunità. Il gruppo svedese nel periodo 2011-2012 ha fatto registrare un aumento del fatturato del 9,8 per cento, 27,6 miliardi di euro. E l’Europa resta di gran lunga il primo mercato di attività, circa il 70 per cento del fatturato totale. L’Italia è al terzo posto nella classifica dei Paesi in cui vengono realizzate più vendite. E questo nonostante i recenti episodi di licenziamento avvenuti a Piacenza. C’è preoccupazione anche tra i lavoratori italiani del gruppo Carrefour, in sciopero da mesi contro la rottura della trattativa per il rinnovo del contratto integrativo aziendale. Anche qui è in ballo, tra gli altri diritti, quello alla retribuzione per il lavoro domenicale. Almeno però, rispetto agli spagnoli, loro hanno tempo entro il 28 febbraio per sottoscrivere l’ipotesi di un accordo tra le parti.

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