“In termini personali, io ho pedalato in discesa tutta la vita. All’improvviso, mi sono trovato davanti questo enorme problema, che mi ha reso più fiducioso in me stesso e mi ha fatto capire che sarei in grado di pedalare anche in salita”. Così parlava Paolo Scaroni, uomo ottimista e manager di successo, intervistato nel 2002 sulle colonne del Financial Times. L’”enorme problema” a cui accennava era il suo arresto, subìto nel 1992, nel pieno di Mani pulite e seguito da una pena, patteggiata, di 1 anno e 4 mesi. Per tangenti: pagate per ottenere appalti e ammesse davanti ai magistrati. Ma dieci anni dopo, Scaroni, sul quotidiano londinese, si autoassolveva: “In un paese in cui gli affari e il governo erano così strettamente intrecciati, dove le istituzioni erano controllate dai politici, era possibile comportarsi in modo diverso? La risposta semplice è: no, non era possibile”.

Chiusi così i conti con Mani pulite, il manager riprendeva felicemente a pedalare in discesa. Dopo un breve esilio è tornato in Italia ed è risalito sulla cresta dell’onda: nel maggio 2002 è nominato dal governo Berlusconi amministratore delegato dell’Enel: proprio l’azienda pubblica da cui dieci anni prima aveva “comprato” appalti, a suon di tangenti (“Something that in retrospect is somewhat ironic”, si permette di commentare il Financial Times). Nel 2005, diventa amministratore delegato dell’Eni.

Tangentopoli, due volte protagonista – Paolo Mario Scaroni, vicentino, studia alla Bocconi e si specializza a New York, alla Columbia University. Lavora alla McKinsey, alla Chevron, alla Saint Gobain, infine alla Techint, il gruppo della famiglia Rocca, con grandi interessi in Messico e Argentina. Proprio come amministratore delegato della Techint inciampa nell’inchiesta Mani pulite: il 14 luglio 1992 viene arrestato con l’accusa di aver pagato tangenti ai partiti per ottenere appalti dall’Enel. Dopo qualche tempo confessa: “Dal 1985 a oggi ho versato al Partito socialista circa 2 miliardi e mezzo, sempre su richiesta dell’onorevole Balzamo, consegnandogli denaro a volte in contanti e a volte su conti esteri”. Racconta a verbale di essere stato convocato a metà degli anni Ottanta da Vincenzo Balzamo, segretario amministrativo del Psi e braccio destro finanziario di Bettino Craxi, il quale gli avrebbe spiegato che gli appalti alla Techint sarebbero stati condizionati da contributi versati al partito socialista. Gli uomini del Psi messi nei posti chiave, spiega Scaroni ai magistrati, “erano in grado di stoppare qualsiasi iniziativa del gruppo Techint, qualora non ci fossimo adeguati al sistema”. Il manager si adegua. Agli inizi degli anni Novanta, però, il sistema sembra incepparsi.

Scaroni chiede allora udienza al rappresentante di Craxi nel settore energia, Bartolomeo De Toma: “Mi fece capire che la ragione per cui Craxi ce l’aveva con noi era perché voleva più soldi dall’impresa”. Il leader socialista voleva alzare il prezzo. “Transattivamente, convenimmo su un versamento della somma di lire 800 milioni”. Tornerà in cella, per un giorno, nell’aprile 1993. Poi, ammesse le tangenti – ma non un ruolo da regista nelle mazzette Enel – Scaroni chiede di patteggiare la pena: 1 anno e 4 mesi, sotto la soglia che obbliga a entrare in carcere. Con ciò, chiude i suoi problemi penali. Segue un periodo di eclissi, durante il quale però Scaroni realizza il suo capolavoro: la compravendita della Siv. Scoppiata Tangentopoli, lo Stato avvia la gigantesca operazione delle privatizzazioni. Ancor prima, però, deve mettere in liquidazione, sotto la regia di Giuliano Amato e Alberto Predieri, l’Efim, carrozzone di Stato che fa acqua da tutte le parti, ma che contiene anche qualche boccone prelibato: come la Siv, un’azienda che produce vetri per auto.

Scaroni, che ha iniziato giovanissimo la sua carriera come manager proprio di un’impresa del vetro, la Saint Gobain, fiuta l’affare e, per conto della Techint in alleanza con la britannica Pilkington, compra la Siv per soli 210 miliardi di lire: circa la metà del valore assegnatole da una perizia di Mediobanca, protesta invano qualche ex manager del gruppo. Dopo qualche tempo, la Pilkington rileva l’intera Siv e Scaroni si trasferisce a Londra, come chief executive officer dell’azienda britannica. Di Tangentopoli Scaroni è stato dunque due volte protagonista: la prima, come manager che ha comprato appalti pubblici in cambio di mazzette ai partiti, contribuendo così a formare la voragine del debito pubblico che ha portato nel 1992 l’Italia sull’orlo della bancarotta; la seconda, come beneficiario delle privatizzazioni rese necessarie per salvare il paese dai guasti di Tangentopoli.

Trasversale, tra Londra e Roma – Gli anni londinesi, più che un esilio, sono un periodo di intensi rapporti stretti con gli italiani che contano. In vista, evidentemente, del grande rientro. Scaroni ha sempre avuto ottime relazioni: è cugino di Margherita Boniver, ex ministro socialista; è amico di Massimo Pini, già uomo di Craxi all’Iri diventato poi consigliere economico di An; e ha sempre avuto buoni rapporti con Gianni De Michelis, ex doge socialista. Non si può dunque dire che fosse taglieggiato da un Psi estraneo e nemico. Ma le sue amicizie sono sempre state trasversali: Luigi Bisignani, democristiano, tessera P2, ex giornalista, condannato a 2 anni e 8 mesi per le tangenti Enimont, è il lobbista che ha lavorato per lui, contribuendo a costruire il suo ritorno in Italia: rientra nel 2001, come presidente degli industriali di Venezia; poi, l’anno successivo, viene nominato amministratore delegato dell’Enel.

Per Scaroni le pubbliche relazioni sono importanti, tanto che aveva incaricato un’agenzia specializzata di Londra, la Fensbury, di ricostruirgli l’immagine. Con ottimi risultati, a giudicare dall’articolo del Financial Times del 2002, in cui si presenta come l’icona del manager italiano. Del resto, la carta stampata è sempre stata una sua passione, tanto che a metà degli anni Ottanta, insieme a un giornalista di Panorama, Angelo Maria Perrino, scrisse un libro, “Professione manager”, edito da Mondadori. In copertina il suo nome non compariva: “Anonimo”, era scritto prima del titolo, mentre il nome di Perrino era preceduto da un “a cura di”. Il gioco però era fatto per essere scoperto: l’”Anonimo” autore di “Professione manager” era proprio lui, Paolo Scaroni, fisico alla Gene Hackman e voglia di cavalcare l’onda anni Ottanta dei manuali all’americana dove si indica la strada più breve per il successo. Nella sua città ha mantenuto salde radici, tanto da diventare, per un periodo, presidente del Vicenza Calcio. Ma le sue capitali d’adozione sono Londra e, naturalmente, Roma. E la sua relazione più preziosa è quella con un uomo anch’egli molto attivo sull’asse Roma-Londra: Mario Draghi, l’ex direttore generale del Tesoro che poi è passato da Bankitalia alla Bce.

La trasversalità dell’uomo ha il culmine naturale dentro il Pdl: Scaroni ha buoni rapporti con Giancarlo Galan, ex presidente della Regione Veneto, ma soprattutto con Bruno Ermolli, ex tutore di Marina Berlusconi e ambasciatore di Silvio nel mondo dei poteri milanesi. Il manager ha però qualche sponda anche a sinistra, se è vero che ai tempi dei governi dell’Ulivo era circolato il suo nome come possibile risanatore dell’Alitalia; e che la sua nomina ai vertici dell’Enel ha provocato, accanto alle reazioni critiche di Pier Luigi Bersani, anche i commenti soddisfatti di un altro ex ministro dell’allora Quercia, Vincenzo Visco. Un bel risultato, per l’autore di un manuale che consigliava agli aspiranti manager di non schierarsi troppo, di non bruciarsi brandendo una sola bandiera politica. Il corruttore dell’Enel è diventato manager dell’Enel: “Ironica sorte”, come dice il Financial Times. E poi dell’Eni, fino allo scandalo attuale delle mazzette algerine: innocente fino a prova contraria, naturalmente. Ma l’indagine milanese ha fatto riprendere vita nel 2013 ai cattivi spiriti di Tangentopoli. Nell’Italia della Prima Repubblica non si poteva lavorare senza pagare tangenti, scolpisce Scaroni per sempre sulle colonne austere del quotidiano britannico. Nessuno si è alzato a smentirlo, nessun manager gli ha risposto: parla per te. Del resto, pagava lui, grande manager della grande Techint, come pagavano Fiat e Ferruzzi, Fininvest e Olivetti. I patti con la politica e gli accordi di cartello sono più comodi della concorrenza e del libero mercato. Ancora oggi? In Italia, ma anche all’estero?

Aggiornato da redazione web

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