Un euro per una bottiglia d’acqua minerale (una bottiglia, non una cassa), quasi altrettanto per una confezione di latte da un litro. E sei euro per un cappuccino seduti a un bar di un quartiere alla moda. Prezzi da Parigi centro. Ma non siamo in Francia, siamo in Sud America, in Argentina, anche se la capitale, Buenos Aires, è considerata la ville lumière sudamericana. Cifre che hanno fatto schizzare la patria di Gardel in testa alle classifiche dei Paesi più cari del mondo. Il problema è che si tratta pur sempre di “terzo” (o almeno secondo) mondo.

Per mettere un freno all’inflazione galoppante che sta esasperando gli argentini, la “presidenta” Cristina Fernandez de Kirchner ha annunciato la sigla di un accordo con le principali catene di supermercati per congelare i prezzi sino al prossimo 1 aprile e ha invitato i consumatori a denunciare qualsiasi aumento rilevino a un apposito numero di telefono istituito presso la segreteria del Commercio.

Una misura adottata dopo il monito del direttore del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde, che aveva minacciato sanzioni contro l’Argentina se avesse continuato a nascondere le cifre reali sull’inflazione e non si fosse “messa in regola” entro il prossimo 29 settembre.

Secondo l’Istituto di statistica argentino, l’inflazione si attesterebbe intorno al 10 % annuo, mentre economisti e istituti privati presentano dati ben diversi: vicini al 25% annuo. L’Argentina è uno dei Paesi con la più alta inflazione al mondo. Niente a che vedere, sia chiaro, con l’iperinflazione (500% all’anno) con cui gli argentini erano costretti a convivere durante il primo governo di Raúl Alfonsín, alla fine degli anni Ottanta, quando i cartellini dei prezzi di beni e prodotti, nei supermercati, venivano cambiati anche dieci volte al giorno. Ma il mancato controllo dell’inflazione da parte del governo – le bugie con cui sono stati occultati i dati reali, sostengono i detrattori – è uno dei tanti aspetti che alimentano la rabbia degli argentini e fungono da detonatore per le proteste sociali, come quella sfociata in un’imponente manifestazione contro la Kirchner l’8 novembre scorso. “No a las mentiras”, basta con le bugie, “No apretes más a la clase media”, non strangolare la classe media, ammonivano i cartelli dei furibondi manifestanti.

Persino l’Economist, di recente, in un articolo dal titolo eloquente – “Non mentirmi, Argentina” -, ha annunciato che eviterà di pubblicare le statistiche ufficiali del Paese perché ingannevoli o poco credibili. Gli osservatori critici con Cristina Fernandez de Kirchner sostengono che l’inflazione è dovuta all’eccessiva emissione di moneta da parte del governo, mentre studiosi filogovernativi ribattono che il vero problema sono i monopoli che controllano il mercato argentino. “L’80% di alimenti, bibite e articoli per la pulizia della casa venduti nei supermercati sono prodotti da appena 28 imprese”, ha sottolineato l’economista Alfredo Zaiat sul quotidiano progressista Pagina 12.

Fatto sta che l’Argentina figura tra i sette Paesi più cari del pianeta. Dal 2006 a oggi il costo della vita sarebbe aumentato del 150 per cento. Stando ai dati raccolti dall’Associazione in difesa dei consumatori e utenti argentini (Adecua) nell’ultimo anno il prezzo di alcuni prodotti ha addirittura superato l’inflazione: il mate, l’infuso di erbe più bevuto in Sudamerica (omologo del nostro tè) è aumentato del 28 per cento, il latte del 26 per cento, il burro del 64 e lo shampoo del 32.

E’ improbabile però che il congelamento dei prezzi nei supermercati, da solo, si riveli efficace come misura contro l’inflazione. Se non altro perché si rischia un effetto Venezuela: il controllo dei prezzi potrebbe infatti provocare la carenza o la scomparsa di alcuni prodotti finché anche imprese e fornitori non congelano i prezzi all’origine. Proprio come successe con la politica promossa in Venezuela da Hugo Chavez, che riuscì ad abbassare l’inflazione, ma generò gravi problemi di approvvigionamento. Nei prossimi giorni i sindacati argentini inizieranno le negoziazioni per l’adeguamento degli stipendi all’inflazione, le cosidette paritarias.

Basandosi sui dati ufficiali, il governo propone un aumento del 20% rispetto all’anno passato, mentre i sindacati aspirano a ottenere più del 25%. Secondo il bellicoso leader del sindacato dei camionisti Hugo Moyano, uno degli uomini forti del Paese, l’attuale congelamento dei prezzi è finalizzato soltanto a mettere un tetto agli accordi sui salari. “Tra un paio di mesi i prezzi saliranno di nuovo il doppio”, è sbottato, ribadendo che il sindacato non ha intenzione di cedere.

Intanto sino ad aprile gli argentini potranno tirare il fiato. Poi il governo dovrà decidere se definire nuove linee di politica economica. O continuare a nascondersi dietro a nuove, pericolose mentiras

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