La prima rubrica che ho curato per un quotidiano si intitolava “Il delatore” e usciva sulle pagine di “Il domani di Bologna”. Così, giusto per la cronaca. Quel titolo non aspirava ad altro che acchiappare l’occhio curioso del lettore. E così è avvenuto. Non sono mai stato troppo orgoglioso di quel titolo, ma neppure scontento. Quando ho potuto l’ho cambiato (è diventato “La bicicletta gialla”) e quando non ho più avuto voglia di scrivere a cadenza settimanale ho chiuso la collaborazione e così sia. Più o meno come avverrà per questo blog. Senza drammi e senza isterismi.

Drammi e isterismi che la cronaca continua a precipitarci addosso senza soluzione di continuità. A chi lavora nei mondi editoriali la settimana ha regalato la zingarata di Chiara Di Domenico contro Giulia Ichino. Secondo la prima, una campionessa del precariato editoriale, la seconda sarebbe stata assunta a ventitré anni dalla Mondadori solo perché figlia di tanto padre, il giuslavorista Pietro, uomo del Partito democratico andato recentemente a ingrossare le fila del presidente del consiglio uscente. Dopo aver espresso questo che potrebbe essere un atto di accusa senza diritto di replica, scendendo dal palco, Chiara Di Domenico è stata abbracciata da Pier Luigi Bersani. Un gesto facile ma di sicuro impatto mediatico.

È purtroppo costume di certa ­– vogliamo chiamarla sinistra? – puntare l’attacco su base personale. Quando nel ’77 volavano alti i cori contro Renato Zangheri, il sindaco di Bologna, si capiva lontano un miglio da che parte era logico, coerente e persino giusto stare, così come in tutte le altre occasioni in cui è avvenuto, fino ai recenti attacchi, sempre a Bologna, del collettivo Bartleby contro il rettore Dionigi, per tacere dei numerosi casi che hanno coinvolto lo stesso Ichino.

E poi le bugie. La Ichino alla Mondadori c’è ormai da dieci anni, è stata assunta sì a ventitré anni, come sostiene Chiara Di Domenico, ma dieci anni fa quando – ripeto: dieci anni fa – chi lo conosceva suo padre? Basta una risposta a questa domanda per capire che tutto il discorso della Di Domenico non sta i piedi e che Bersani ha rovinosamente gettato (alle ortiche?) un abbraccio che poteva tenersi per un’occasione migliore, semmai gliene capiteranno altre.

Adesso qualcuno, i soliti che si rendono conto di avere pestato una deiezione e cercano di condividerne la puzza, dice che il problema non è scegliere fra la Di Domenico o la Ichino quanto leggere in questa storia eccetera eccetera… le solite palle che si raccontano in queste situazioni, cercando il mal comune mezzo audio, anche questa una specialità di certa ­– vogliamo chiamarla sinistra?

Il problema è scegliere fra chi dice la verità e chi le bugie, come in una di quelle storie educative che si leggevano da bambini e tanto impresse non devono essere rimaste se poi i risultati sono questi. A Giulia Ichino sono bastate poche righe per chiarire la questione. Allo staff Mondadori altrettante, forse anche meno. E a tutti noi, che questo mondo di m. uno di questi giorni ci piacerebbe provare a cambiarlo per davvero, la sensazione amara di sempre: non ce la faremo mai.

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