La politica a volte è anche una questione di numeri, anzi lo diventa evidentemente quando la si proietta nella dimensione parlamentare, dove cioè per approvare una legge è necessario costruire una maggioranza.

Sulla questione del matrimonio omosessuale mi piacerebbe adottare per una volta questa prospettiva pragmatica, ragionando ad alta voce e cercando di diradare la fitta nebbia in cui anch’io, come elettore, mi muovo.

Partendo però da due convinzioni, diverse da quelle sottese all’attuale dibattito politico sul tema: innanzitutto io credo che le persone gay, lesbiche e trans – le nostre famiglie – voteranno convintamente chi garantirà loro i diritti che chiedono. Nessun taglio di tasse e nemmeno la restituzione dell’Imu già versata varrà mai quanto l’emancipazione da vincoli e ostacoli che oggi rendono a quelle persone la vita difficile. Nella vita di una persona transessuale, ad esempio, la liberazione dall’obbligo dell’intervento chirurgico definitivo per vedersi riattribuito anagraficamente il genere è l’unico vero orizzonte di miglioramento della propria condizione.

Allo stesso modo, per una Famiglia Arcobaleno, cioè per una coppia omosessuale con figli, l’unica proposta convincente sarà quella che contemplerà il pieno riconoscimento di quella famiglia. Perché l’imposta sulla casa passa rapidamente in secondo piano dinanzi al pericolo che un figlio, nella disgraziata eventualità della morte del  genitore naturale, quella stessa casa fosse costretto a lasciarla. Il secondo presupposto è semplicissimo: non diamo per scontato che non esista una maggioranza sul tema dei matrimoni omosex, come fa Pier Luigi Bersani. Anzi, visto che il prossimo Parlamento è ancora da formare, lasciamo la questione del tutto aperta, e quella maggioranza, anziché escluderla a priori, poniamocela come obbiettivo.

Stando a quanto scritto nei programmi e a quanto i vari candidati dicono in questa campagna elettorale, a sinistra sono in diversi a dirsi disposti a sostenere una legge sui matrimoni gay, da Sel a Ingroia ad alcuni candidati del Pd. A favore si dicono anche i candidati del Movimento Cinque Stelle, destinati, se il voto premierà la coalizione di centrosinistra, a sedere nei banchi dell’opposizione. Il nodo, quindi, è tutto interno al Pd:  se i democratici sapranno costruire una maggioranza su questa istanza la legge sui matrimoni omosessuali si potrà fare. 

Con una legge elettorale diversa basterebbe a questo punto scegliere, nelle liste del Pd, i candidati che si dicono a favore del matrimonio omosex. Con il  Porcellum, però, la questione cambia radicalmente: il voto non premia la persona bensì una lista “preconfezionata”. Votare un simbolo per sostenere un candidato a metà lista  può rivelarsi quindi un atto di ingenuità, perfino controproducente: per fare entrare quel candidato in Parlamento si garantirà innanzitutto l’elezione di coloro che in quella stessa lista sono posizionati meglio di lui (o di lei). In definitiva, per fare entrare un “sì” si rischia di garantire l’accesso di una serie di “no”, e nel tentativo di costruire una maggioranza a favore dei matrimoni gay staremmo in realtà ingrossando le fila dei contrari.

Su questo punto, quindi, il Partito Democratico deve essere chiaro: chi tra i candidati è disposto a votare una legge sui matrimoni tra persone dello stesso sesso? questa risposta diventa indispensabile man mano che si sale verso la testa della lista. Da questo punto di vista, il sito lanciato da Arcigay http://www.temposcaduto.com/ e che raccoglie le posizioni di tutti i candidati sulle istanze Lgbt si rileva uno strumento preziosissimo per le elettrici e gli elettori gay, lesbiche e trans. Solo verificando gli impegni presi da chi occupa le posizioni certe potremmo avere la garanzia di dare un voto utile e non – al contrario – controproducente. E in molti territori in cui il Partito Democratico ha piazzato nei posti certi i notabili dell’area cattolica, votare quella lista potrebbe rivelarsi un pericoloso boomerang, una vera e propria trappola. Prima di votare, perciò, sarà il caso di ottenere qualche risposta in più dal Pd e di fare la classica “botta di conti”.

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