Carlo Giovanardi ha una certa età, un carattere ombroso per non dire antipatico, una presunzione di sé lontana anni luce dal suo valore dimostrato. Quindi è terreno poco fertile per qualsiasi operazione pedagogica. Eppure due parole io le vorrei investire, per scalfire il muro delle sue certezze.

Stefano Cucchi è morto, quasi sicuramente ammazzato di botte e di incuria, mentre, per un eccesso di zelo repressivo, era in custodia delle forze dell’ordine. È morto prima che fosse istruito un processo, giustificabile soltanto applicando una legge iniqua quanto ideologica (la Fini-Giovanardi). Riesce, nella sua modesta capacità creativa, l’ispiratore di quella legge, a immaginare la profondità del dolore della famiglia Cucchi? No, se ci riuscisse tacerebbe.

Invece parla. E parla di Ilaria, che avrebbe “sfruttato la tragedia”, mentre invece alla tragedia ha reagito, mettendo la sua disperazione al servizio della comunità, perché nessuno abbia a patire mai più quello che hanno patito suo fratello, lei stessa, i suoi genitori. A nessuno è concesso inzaccherare con la propria mediocrissima visione del mondo (un mondo popolato di opportunisti a caccia di poltrone) una scelta politica così impegnativa. Una scelta personale così generosa.

Il Fatto Quotidiano, 3 Febbraio 2013

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