È ormai invalsa la moda di fare agende digitali. L’ha fatta il Governo, in parte con una legge, l’hanno fatta diverse associazioni, per ultimo ci si sono messi anche i partiti. Caratteristica comune di tutte queste iniziative è stata quella di pensare allo sviluppo del sistema digitale con una serie di iniziative parcellizzate e fondate per lo più sul ruolo della pubblica amministrazione. Non c’e dubbio che tutto questo sia importante (al netto di qualche baggianata) ma è solo un modo limitato di affrontare la questione. Fatta questa premessa, non mi metterò anch’io pretenziosamente a fare un’agenda. Io non so chi avrà il potere di fare e neppure se alle chiacchiere seguiranno i fatti, certo alcune importanti questioni generali si pongono oltre a quelle indicate.

1. Il cosiddetto digitale è un ecosistema composto di varie articolazioni fortemente interconnesse tra loro. Tra queste articolazioni non c’è dubbio che vi sia anche la parte dell’audiovisivo che se non cambia regime rischia di condizionare negativamente il resto. Nessuno invece ha chiarito cosa si intende fare complessivamente sulla materia. E invece bisognerebbe: a) abrogare la Gasparri; b) fare una legge rigorosa che finalmente garantisca un effettivo pluralismo attraverso un uso trasparente, efficiente e concorrenziale delle frequenze, degli impianti e delle risorse pubblicitarie; c) riformare la Rai, non privatizzandone pezzi, ma rilanciando la sua funzione pubblica nella convergenza e nell’educazione all’innovazione tecnologica; d) riformare con una visione moderna il sistema dell’emittenza locale e della radiofonia; e) sostenere le produzioni indipendenti; f) intervenire sulle condizioni di monopolio in cui versano altre piattaforme televisive diverse da quella terrestre (soprattutto il satellite).

2. Le frequenze sempre più costituiscono il grande asset delle tecnologie. Tablet, iphone, stanno sostituendo i computer. Tutti questi device operano in mobilità. Le frequenze sono dunque il petrolio del futuro ed una grande risorsa anche economica. Purtroppo la situazione italiana è caratterizzata nel settore da rendite di posizione (non solo della televisione). Usi civili e militari che sprecano inutilmente ed in modo non trasparente porzioni importanti dello spettro radio. Ci vorrebbe davvero una spending review del settore.

3. É ormai necessario affrontare il tema del rapporto tra i grandi aggregatori (es.google, apple) e i distributori nazionali (telco o broadcaster). Quando lo sostenevo, tre anni fa, mi prendevano per matto ora vedo che è argomento sempre al centro del dibattito. Discuterne, senza tuttavia arrivare a proporre una regolamentazione protezionistica che non avrebbe la minima possibilità di successo. La storia di questi ultimi mesi, anzi degli ultimi giorni (accordo Google con editori francesi), ci insegna che un pressing aiutato dalla messa in campo di alcuni strumenti giuridici anche sanzionatori che già esistono fa raggiungere il risultato. Certo c’è bisogno di altro, soprattutto nella disciplina di interconnessione alle reti (es. negli accordi di delivery) o nella raccolta della pubblicità, ma va evitata l’estremizzazione contro gli Ott, che comunque restano un fenomeno che ha prodotto benefici enormi allo sviluppo del digitale.

4. Tutte le agende propongono una serie di iniziative per la diffusione di internet. In tutte mancano però alcuni aspetti che ne sono il presupposto necessario. Il punto su cui conviene riflettere oggi è che le discussioni relative ad internet vengono per lo più affrontate con un approccio economico. Questo non è sbagliato in assoluto (tutti concordano nel contributo di internet allo sviluppo dell’economia). Ci sono tuttavia questioni all’interno di questo sviluppo che investono il futuro democratico della nostra società. Mi riferisco in particolare a temi che costituiscono presupposti di garanzia generale del sistema quali: la neutralità – la privacy – la tutela dei contenuti. Quanto alla neutralità, oggi la tecnologia permette di selezionare i contenuti e filtrarli o assegnare priorità. La rete continuerà ad essere aperta o prevarranno, giustificati dall’interesse economico o peggio, elementi di discriminazione? Nessuno ancora ha chiarito i principi che debbono valere per garantire la neutralità della rete. L’Europa ha fatto un piccolo sforzo quando ha rivisto le direttive sulla comunicazione elettronica affermando che la neutralità della rete è uno dei prìncipi cardine dello sviluppo del web in Europa. In Italia il tema è assente. La recente agenda digitale del governo non ne parla. Nel mondo non sono solo gli operatori di rete a metterla in discussione ma anche le scelte dei grandi aggregatori di contenuti.

Chiusi come Apple o aperti, ma con forme subdole di chiusura, come Google. Assistiamo ad una polemica sul lascito fiscale di questi soggetti (non pagano le tasse nei paesi dove fanno fatturato). Aspetto importante ma secondario rispetto all’assenza di regole che impediscano il conflitto permanente tra i loro interessi economici e le libertà individuali di accesso. Stesso discorso per la riservatezza. Il web é come un iceberg, con una parte profonda, non apparente, in cui i nostri dati vengono utilizzati, per fini di commercio, politici o di altra natura. Un grande tema, forse in prospettiva il più importante su cui nessuno ha preso impegni (tantomeno le forze politiche). Infine, la tutela contenuti. Il copyright non può essere la scorciatoia per nuove forme di censura. É necessaria una riforma in linea con lo sviluppo tecnologico ed è altrettanto necessario incentivare l’uso legale dei contenuti eliminando rendite di posizione nei regimi di esclusiva, nelle finestre di distribuzione, favorendo forme nuove di remunerazione. Per questo, per prima cosa andrebbe abrogato il cd Decreto Romani che ha esteso al web le regole sulla televisione, prevedendo per il copyright, in assenza di criteri direttivi e con una finalità tutta tesa a proteggere le rendite del principale operatore privato, una sciagurata assegnazione all’Agcom di un potere di intervento sanzionatorio in via amministrativa.

5. Le tecnologie sono una grande opportunità, internet, in particolare, è una grande opportunità. Ma c’è un rischio. Parti rilevanti della società possono essere escluse da queste opportunità o per ragioni tecniche o per ragioni economiche. Quante famiglie non possono sostenere i costi di un ascesso alla rete. Il futuro e in parte già il presente ci riservano un mondo nel quale saremo in una permanente connessione (per una conoscenza allargata e per le cose) Ed allora, un solo slogan: internet per tutti. Ma chi l’ha detto? Non i principali partiti, anche quelli che di recente si sono esercitati sul tema. In parte l’ha detto Grillo, ed invece si tratta di un tema di straordinario rilievo alla base di tutte le prossime strutture democratiche.

Articolo Precedente

Televoto, la trasformazioni di Tremonti e il bancomat di Berlusconi

next
Articolo Successivo

Google, il Piano Marshall degli editori. Fieg, e noi?

next