Non sopporto chi si rivolge al passato con intento nostalgico, per sostenere o anche solo ammiccare quanto fosse migliore rispetto al presente.

Non lo sopporto perché è un atteggiamento ipocrita, troppo sbrigativo, messo in atto per sfuggire al grande problema del presente, ovvero il suo essere testa di ponte del futuro si avvia a generare.

(Adoro il futuro.)

(Mi piace guardarlo in faccia, questo futuro. Mi piace sfidarlo. Limarlo. Grattugiarlo.) (Mai addomesticarlo.)

Va da sé che sono stato un buon lettore di fantascienza. Solo buono perché la fantasia degli scrittori mi pareva sin troppo tenuta sotto controllo, al guinzaglio. Certi romanzi era come se procedessero con il freno a mano. E non perché qualche anno fa si scriveva in modo meno dinamico rispetto a quanto si faccia oggi.

(Non ho detto né meglio né peggio, solo meno dinamico.)

Niente in confronto al cinema, al fumetto e alle serie televisive, beninteso.

Lì, la sensazione che spesso si prova è quella di un bagno nel cloroformio.

Anche se forse la maggior dinamicità in termini creativi è riscontrabile, e non è affatto un paradosso, nelle arti plastiche e figurative e in tutto quello che hanno generato.

(Adoro il futuro, farnetico di conoscerlo.)

(Le mie piccole madeleine al gusto di domani.)

Mi terrorizza pensare all’evoluzione degli animali, certuni in particolare, il cinghiale spesso e volentieri.

Mi inquietano i flussi migratori degli esseri umani, le direzioni che sanno imboccare, quelle che effettivamente prendono.

Sgombero l’idea del grande complotto costruendone sempre di nuovi e potenti.

(Conosco la direzione dei passi di Ettore Majorana.)

(So chi ha fatto cadere le torri gemelle.)

(So chi ha fatto fallire Lehman Brothers.)

In un racconto che dovevo scrivere si trattava solo da omaggiare André Helena, uno dei tanti romanzieri “da stazione”, come li chiamano sbrigativamente i francesi salvo poi adorarli e ristamparli a più non posso.

Per omaggiare Helena non c’era nessun bisogno di ricorrere alla creazione manu militari della Repubblica di Catalogna e affidarla alla presidenza di Josep Guardiola, detto Pep, l’ex allenatore del Barcellona calcio.

Potevo non farlo, ma l’ho fatto.

E l’alba si è tinta di rosso.

Qualche giorno dopo aver scritto il racconto, ho scoperto che qualcuno ci aveva pensato per davvero, alla Repubblica e alla presidenza di Guardiola. Non mi è rimasto che rassegnarmi al sorriso di circostanza con il quale saluto certi ritrovamenti di me stesso in un mondo che sembra incapace di contenermi.

Qui mi basta aggiungere che il racconto non è uscito nell’antologia celebrativa per quello scrittore. Questioni contrattuali. È stato un bene perché la casa editrice che l’ha pubblicata ha già chiuso i battenti.

(Oggi il mondo editoriale è una corsa a ostacoli, una gimkana impazzita: volti per un attimo lo sguardo e non sai cosa ti si parerà davanti agli occhi al ritorno.)

A volte sono un po’ cattivello e occorre tenerne conto.

(Altre piccole madeleine al gusto di domani.)

E comunque voi non vi siete persi niente perché il racconto uscirà altrove. Insieme ad altri due. Perché la mia piccola storia si è fatta in tre, ed è diventata la storia della Nazione catalana. Vi dirò come, dove e quando comprarla.

(Che grande comodità la vita dello scrittore.)

(Anche quella del lettore non è male, va detto.)

(E comunque, nei commenti, l’insulto è libero.)

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