La spia d’allarme è contenuta in un codice. IMI 1-1-1985. Lotto di armi utilizzato nel poligono militare di Torre Veneri, a Lecce, e sospettato di contenere materiali tossici. Il giallo riaffiora solo adesso, dalle pieghe della relazione conclusiva della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito, depositata lo scorso 9 gennaio. “In mare – hanno scritto i ventuno senatori – sono stati individuati, nell’area prospiciente il poligono, numerosi rottami metallici e un certo numero di penetratori metallici con sigle non identificate. Non è stato possibile approfondire questo profilo anche per la mancata acquisizione delle schede tecniche e storiografiche dei colpi completi da 105x617mod. APFSDS-T DM33 e da 105/51 lotto IMI 1-1-1985 acquistato presso la ditta IMI (Israel), richieste agli uffici del Ministero della Difesa, ma non pervenute”.

Poche righe per una verità che potrebbe segnare uno spartiacque tra il prima e il dopo di quest’area militare, finora passata in secondo piano rispetto a quelle di Quirra, Nettuno e Capo Teulada. IMI 1-1-1985 è un lotto di proiettili acquistato dalla ditta Israel Military Industries a metà anni ‘80, mentre era in vigore il bando per il commercio con quel Paese. E’ stato utilizzato dal nostro contingente impegnato in Somalia nel ’93. Ed è lo stesso al centro di tre interrogazioni parlamentari, tra il 2001 e il 2003. L’allora ministro alla Difesa, Sergio Mattarella, confermò le notizie sulla loro provenienza, sul loro impiego e rientro, per il ricondizionamento, nei depositi militari di Baiano e Marina di Bibbona. Negò, tuttavia, che si trattasse di armi all’uranio, poiché dotate, invece, di penetratori al tungsteno, che comunque è un metallo pesante, pericoloso.

“E lei si fida? Perché, allora, il Ministero della Difesa non ha fornito neppure ora le schede richieste? E perché la Commissione parlamentare non è andata a fondo per acquisirle? Solo lei poteva farlo, perché ha i poteri di un tribunale speciale. Invece, non ha coperto le falle”. Falco Accame, ex sottosegretario alla Difesa e attuale presidente dell’Associazione nazionale assistenza vittime arruolate nelle forze armate, non si trattiene. “I senatori hanno dichiarato che a Torre Veneri non c’è uranio. Ma con cosa sono andati a cercarlo? Per sapere se è presente, avrebbero dovuto procedere con la bonifica, che non può essere un semplice sgombero di bossoli. Si dovrebbe guardare in profondità, sottoterra. E poi, i metalli pesanti pensano di trovarli con un ‘briefing’ da sala da the?”.

Spetterà alla Procura di Lecce provare a colmare le lacune della relazione della Commissione. Il fascicolo è aperto sulla scrivania del sostituto procuratore Elsa Valeria Mignone. Al momento, è a carico di ignoti. A dare fuoco alle polveri è stato l’esposto, integrato due volte, presentato dall’associazione Lecce Bene Comune, che ha chiesto di indagare per disastro ambientale. Non ci si fida neppure delle analisi effettuate da Arpa Puglia nel 2007 e 2010. Il materiale in mano agli inquirenti, infatti, si è arricchito anche dei documenti a firma di tre militari che hanno contratto il cancro dopo aver prestato servizio a Torre Veneri. Dove, almeno questo è certo, dai sopralluoghi tecnici svolti dai senatori “è emersa una scarsa osservanza del disciplinare per la tutela ambientale e la bonifica”.  E’ l’inizio di una strada in salita ripida, lungo la quale cercare di provare il nesso tra le neoplasie di soldati (e non solo) e il possibile inquinamento.

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