L’ammontare del debito presente nel sistema economico cinese cresce a dismisura toccando livelli record con il rischio di provocare danni evidenti a quella che è ormai la seconda economia del mondo. È l’allarme lanciato da Bloomberg e da un rapporto della società finanziaria statunitense GMO diffuso in questi giorni. Impressionanti, in particolare, i numeri resi noti dall’elaborazione della stessa agenzia di stampa Usa: il controvalore totale dei debiti contratti dalle 3.895 compagnie non finanziarie  cinesi oggetto di indagine ha toccato ormai quota 1.700 miliardi di dollari contro i circa 600 miliardi di fine 2007. Come a dire che l’esposizione complessiva delle imprese è sostanzialmente triplicata nello spazio di cinque anni.

A paventare il rischio di una bolla creditizia ci sono gli effetti delle politiche espansive del governo di Pechino. Nel 2012, ricorda ancora Bloomberg, le banche cinesi hanno accordato nuovi prestiti per 1.300 miliardi di dollari con una crescita, secondo i dati diffusi dall’istituto centrale, pari al 10% rispetto all’anno precedente. La conseguenza, come facile immaginare, è tutta nel peso crescente del credito. Alla fine del 2008, ha ricordato di recente l’agenzia di rating Fitch ripresa ancora Bloomberg, l’ammontare del credito complessivo presente nell’intero sistema (non solo sul fronte delle imprese) valeva il 124% del Pil. Oggi, invece, il rapporto è salito a quota 190%.

Nel corso degli ultimi anni la crescita cinese è andata rallentando (nel 2012 il Pil è cresciuto del 7,8%, poco rispetto ai ritmi intensissimi del passato) e le prospettive per il futuro restano incerte. A novembre, lo Us Conference Board aveva pronosticato un nuovo rallentamento generale ipotizzando una crescita del Pil cinese pari al 6,9% nel 2013. A gennaio, il rapporto trimestrale della banca HSBC aveva invece espresso ottimismo stimando in un +8,6% la misura dell’espansione economica per quest’anno, con un miglioramento dunque di 0,8 punti percentuali rispetto al 2012. Un dato resta comunque evidente: la crescita del credito non si accompagna a un’adeguata accelerazione del Pil, come a dire che a venire progressivamente meno è l’efficacia stessa di quelle politiche espansive che il governo insiste a programmare.

Le grandi preoccupazioni circa la sostenibilità del debito privato cinese sono state sintetizzate in questi giorni da un rapporto pubblicato dalla società Usa GMO (Feeding the Dragon: Why China’s Credit System Looks Vulnerable). Tra i motivi di ansia c’è, tanto per cominciare, la presenza significativa di una pluralità di credito sottoposto a scarso controllo, il cosiddetto mercato bancario ombra, o shadow banking. Nel comparto rientra un po’ di tutto: prestiti di società private, trust, prestiti peer-to-peer, microcredito, attività “off balance sheets” e altro ancora. Come a dire una massa di crediti in continua crescita. Dieci anni fa, nota GMO, le banche compensavano da sole il 92% dei prestiti. L’anno scorso la loro partecipazione è scesa al 52% mentre nell’ultimo trimestre del 2012 l’insieme dei crediti non bancari ha raggiunto quota 60% del totale dei nuovi prestiti.

Molti dubbi, ovviamente, derivano dall’intreccio tra debiti e fortune del settore immobiliare, i cui assets fungono molto spesso da collaterali, ovvero da garanzie, per i prestiti stessi. Sono queste garanzie legate a un settore tipicamente “volatile” (leggasi a rischio bolla) ad alimentare il mercato dei prestiti contratti dai governi locali con tutti i rischi del caso. “Se il mercato immobiliare vira al ribasso, i governi locali andranno incontro a una potenziale contrazione della liquidità” precisa GMO. Sul fronte bancario, poi, c’è ovviamente il problema dei prodotti strutturati, vale a dire le sempre più diffuse obbligazioni acquistate nel settore privato e successivamente impacchettate in prodotti destinati alla clientela. In pratica, come fanno notare gli analisti Usa, nient’altro che la versione cinese delle famigerate subprime mortgage-backed securities, i titoli tossici dell’immobiliare americano.

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