“Avrai preso il voto più alto ma resti sempre una zingara“. Così a 7 anni Dijana Pavlovic, attrice serba di etnia rom, si sentì dire da una compagna di classe. Allora abitava in un piccolo paese al centro della Serbia, duecento chilometri a sud di Belgrado, dove si è laureata alla Facoltà delle Arti drammatiche. In Italia dal 1999, oggi è portavoce della Consulta rom e sinti di Milano e vicepresidente della Federazione rom e sinti insieme. Una pasionaria che lotta contro i pregiudizi e le discriminazioni, a febbraio terrà alcuni incontri nelle scuole di Milano e hinterland nella consapevolezza che il cambiamento culturale parte anche dal dialogo sui banchi di scuola.

La locandina dell'evento

Recitando un estratto dal suo monologo “Tre donne”, sarà lei a concludere il convegno Shoah e Porrajmos. Un nuovo patto per la memoria che nel Giorno della memoria, il 27 gennaio, si terrà nella sala Ricci della Fondazione San Fedele a Milano (dalle 18 alle 20). Il termine “Porrajmos” (in lingua ròmanes, “il grande divoramento”) indica la persecuzione e lo sterminio su base razziale dei rom e dei sinti nel nazifascismo.

La conferenza è organizzata nell’ambito del progetto “Memors. Il primo museo virtuale del Porrajmos in Italia”. Ricostruire storia e memoria della deportazione delle popolazioni sinte e rom all’interno dei campi di concentramento sparsi sul territorio italiano è l’obiettivo del progetto diretto dallo storico Luca Bravi, ricercatore presso l’Università Leonardo da Vinci di Chieti, che interverrà all’incontro del 27 gennaio così come, tra tutti, Ian Hancock, professore di linguistica presso l’Università del Texas ad Austin, Milena Santerini, docente di Pedagogia all’Università Cattolica di Milano, e Daniele Nahum della Comunità ebraica di Milano.

Le storie delle tre donne che Dijana Pavlovic ha scelto di raccontare sono storie di vite segnate dall’orrore: Barbara Richter, sinta cecoslovacca internata ad Auschwitz quando aveva 15 anni (morta nel 2006) e torturata dal cosiddetto “angelo della morte” Josef Mengele; Milka Goman, arrestata nel 1940 e imprigionata nel campo di internamento di Agnone. Infine, Mariella Mehr, rom jenisch, nata a Zurigo nel 1947 (in Italia dal 1996), una delle circa 600 vittime di un’iniziativa dell’organizzazione Pro joventute denominata “Opera di soccorso per i bambini di strada”, attiva in Svizzera tra il 1926 e il 1972, con cui si voleva rendere sedentario il popolo rom strappando i bambini ai loro genitori e affidandoli ad altre famiglie, a orfanotrofi, a istituti psichiatrici. Un’esperienza terribile che la Mehr racconta in un libro, tradotto anche in italiano, Steinzeit, letteralmente “tempo della pietra”. 

Dal dolore e dalla rabbia nasce la sua opera di scrittrice e poetessa capace di una lingua straordinaria”, spiega Dijana Pavlovic. Lo spettacolo si sviluppa “in tre monologhi nei quali Barbara, Milka e Mariella raccontano se stesse, la loro vicenda, con i dolori, le ansie, lo stupore e il furore per un destino incomprensibile – aggiunge la Pavlovic – Tre immagini di un destino che ha colpito, in modi, forme e pratiche diverse, un intero popolo, vittima di un pregiudizio e di una persecuzione che durano da sempre”.

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