Meno carcere. E’ la raccomandazione che il procuratore capo della Repubblica di Milano fa ai pm milanesi. Edmondo Bruti Liberati ha infatti invitato i procuratori a ricorrere il meno possibile al carcere e a “ricorrere nella misura più larga possibile alle misure alternative”. Lo ha reso noto in una nota nella quale si richiama la sentenza Cedu sul sovraffollamento delle carceri.

Con questo provvedimento i pm vengono quindi invitati a tenere al “massimo conto, sia in tema di misure cautelari che in fase di esecuzione, gli auspici della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo”. La richiesta del capo della Procura milanese, in sostanza, è quella di valutare con attenzione quale tipo di misura cautelare sia necessaria in ogni caso specifico e di non ricorrere alla custodia in carcere quando si possono chiedere misure alternative, come gli arresti domiciliari. Bruti Liberati richiama le “raccomandazioni della Cedu” che con la sentenza dell’8 gennaio scorso ha condannato l’Italia per il “sovraffollamento delle carceri”, “ingiungendo allo Stato italiano di introdurre, entro il termine di un anno dal momento in cui la sentenza della Corte sarà divenuta definitiva, ‘un ricorso o un insieme di ricorsi interni idonei ad offrire un ristoro adeguato e sufficiente per i casi di sovraffollamento carcerario”. Nella nota si fa riferimento ad alcuni passaggi della sentenza nella quale si spiega che “malgrado gli sforzi sia legislativi che logistici intrapresi dall’Italia nel 2010, il tasso nazionale di sovrappopolazione rimane elevato nell’aprile 2012 (essendo passato dal 151% del 2010 al 148% del 2012)”. La Cedu ricorda anche “le raccomandazioni del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa che invitano gli Stati a sollecitare i procuratori e i giudici a ricorrere nella misura più larga possibile alle misure alternative alla detenzione e a riorientare la loro politica penale verso un minore ricorso alla carcerazione”.

Già lo scorso dicembre, dopo il caso Sallusti, Bruti Liberati ha emanato una direttiva per chiedere che i fascicoli di altri condannati in una situazione simile a quella del giornalista (che ha poi ottenuto la grazia) vengano trattati allo stesso modo dall’Ufficio esecuzioni penali: niente carcere dunque come avveniva prima, ma detenzione nel domicilio. Sono i casi relativi alla cosiddetta “doppia sospensione della pena e se ne contano circa una cinquantina all’anno nel distretto giudiziario milanese. Il nuovo provvedimento di Bruti, invece, dovrebbe avere effetti sulle richieste di custodia cautelare firmate dai pm: la linea dettata è quella di ricorrere al carcere il meno possibile, soprattutto quando non c’è necessità.

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