“Nessun legame tra la malattia dei militari e l‘uranio impoverito“. La commissione d’inchiesta del Senato sui casi di morte tra i soldati italiani in relazione anche all’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito ha concluso i suo lavori con l’approvazione di una rapporto conclusivo che sarà pubblicato nei prossimi giorni e che è destinato a sollevare altre polemiche. Il presidente Rosario Giorgio Costa (senatore Pdl) ai microfoni de ilfattoquotidiano.it ha presentato le conclusioni dell’indagine parlamentare. “Non abbiamo trovato uranio impoverito, non è emersa alcuna correlazione con le patologie. Un militare – dichiara – si ammala così come si può ammalare un civile”. Al 31 dicembre sono state evase tutte le pratiche di indennizzo relative a militari che si sono ammalati durante il lavoro, ora ne restano 200 che sono state respinte. “Un nostro consulente – ha concluso il presidente – ha esaminato queste pratiche, molte vanno riaperte. Gli interessati, partendo dai lavori della commissione, possono chiedere il giudizio ad un organismo superiore o rivolgersi all’autorità giudiziaria”. Le conclusioni vengono criticate da Falco Accame presidente dell’Anavafaf, associazione di assistenza alle vittime delle forze armate. “Nella relazione – sottolinea Accame – si afferma che l’uranio impoverito non è stato impiegato né ‘stoccato’ in Italia, ma a Livorno, Camp Darby e Vicenza sono state stoccate migliaia di armi all’uranio”. Accame ricorda come i tumori e le altre gravi malattie che hanno colpito i militari “possono essere stati determinati dalle armi all’uranio impoverito usate dagli alleati”. La commissione parlamentare, nella relazione conclusiva ha confermato lo stanziamento di 75 milioni di euro in tre anni, per bonificare i poligoni, alcuni dei quali, la commissione, di concerto con il ministero, ha stabilito vengano ridotti di superficie  di Nello Trocchia

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