Paradossi della finanza italiana, dove il bidone Alitalia prende un calcio persino dai suoi stessi azionisti. E glielo restituisce senza passare dal via. Accade a Fiumicino, dove la società che gestisce lo scalo, la Aeroporti di Roma, ha annunciato ieri che limiterà alcuni servizi resi alla “compagnia di bandiera” perché Alitalia è ancora “economicamente inadempiente”. La nota parla chiaro: “Aeroporti di Roma, scusandosi con i passeggeri per eventuali disagi, si vede costretta a limitare alcuni servizi resi ad Alitalia, tra i quali il Fast Track per Milano, perché la compagnia, nonostante le numerose sollecitazioni di Adr, risulta essere ancora economicamente inadempiente a valle di specifici accordi in essere tra le due aziende”.

“Sono esterrefatto ed amareggiato da questa dichiarazione di Adr”, ha controbattuto l’amministratore delegato di Alitalia, Andrea Ragnetti, sottolineando che Aeroporti di Roma “nonostante la recente firma di un accordo di programma che ci vede obbligati a pagare delle cifre elevatissime, continua ad offrire un servizio ben al di sotto dello standard qualitativo che i nostri passeggeri si aspettano e si meritano, e uno spettacolo di degrado assolutamente ingiustificabile”. Non solo. “Le nostre continue contestazioni, che peraltro non diffondiamo ai media, e i ritardi nei pagamenti, di entità ridottissima, qualche giorno, non sono altro che tentativi fatti per cercare di ottenere, con la moral suasion, non riuscendoci, un servizio quanto meno sufficiente”, conclude Ragnetti.

Quello che nessuna delle parti dice, in questo reciproco scambio di accuse è che non sono solo le piste ad accomunare Alitalia e Adr. Il primo azionista della società di gestione dello scalo romano, infatti, è la holding Gemina, a sua volta controllata dalla Edizione della famiglia Benetton che tra gli altri convive nell’azienda con Unipol, subentrata ai Ligresti. Stessi nomi che troviamo nell’elenco dei “21 patrioti” che nel 2008 avevano rilevato Alitalia insieme a Roberto Colaninno. E non agli ultimi posti. Atlantia, la società delle autostrade dei Benetton che proprio in questi giorni si sta preparando a fondersi con Gemina, della compagnia di bandiera è il quarto azionista con quasi il 9%, subito sopra alla Immsi di Colaninno (7,08%) che di Cai è il presidente. E poco sotto, all’ottavo posto, c’è la finanziaria delle Coop con il 4,43 per cento.

In pratica, quindi, da qualunque lato si guardi la disputa, i Benetton ne escono da accusati. E proprio a una manciata di giorni dalla scadenza del vincolo che obbligava i soci di Alitalia a non vendere le azioni della compagnia che verrà a decadere sabato 12 gennaio. Con un limite. Fino a ottobre, infatti, i “patrioti” che volessero disfarsi delle loro azioni nel vettore, dovranno avere il via libera del consiglio di amministrazione di Alitalia. Dove siedono, appunto, Colaninno e Ragnetti. Il tutto in un clima di crescente tensione, dopo le indiscrezioni che, alla luce dello stato disastroso dei conti di Alitalia, prima avevano indicato nelle Ferrovie dello Stato l’ennesimo salvatore (pubblico) della società, poi avevano parlato di un accordo ormai alle ultime tappe con Air France, che della compagnia è il primo socio. Trattative entrambe smentite dalle parti, anche se la Borsa, o gli speculatori, ci credono poco, con la società di Colaninno che sulla scia dell’attesa di un profitto in arrivo in questi giorni sta volando sul mercato. Assicurando già buoni guadagni al suo azionista.

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