E’ una delle pagine più buie dell’ultracentenaria storia della Siae – la società italiana autori ed editori – ed una delle tante brutte storie italiane nelle quali il Governo si gira dall’altra parte, fingendo di non vedere piccole e grandi malefatte dei soliti furbetti di quartiere o, peggio ancora, come accaduto in questo caso, le legittima consapevolmente, mettendoci la propria firma.

L’epilogo della storia è rappresentato dall’adozione da parte del commissario straordinario della Siae, l’ultranovantenne Gian Luigi Rondi e l’approvazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Monti, del nuovo statuto della Società.

Uno statuto nel quale si mette nero su bianco il principio anti-democratico per antonomasia in qualsiasi realtà associativa: gli associati ricchi comandano e gli altri subiscono le loro decisioni passivamente come se non esistessero.

Una plutocrazia che spazza via ogni timida parvenza di democrazia potrebbe dirsi in una battuta.

Ma andiamo con ordine, perché questa brutta storia italiana merita di essere raccontata dall’inizio e, probabilmente, fatta leggere ai più giovani per metterli in guardia dalle conseguenze che la scarsa onestà degli uomini e la loro avidità possono generare.

Tra la fine del 2010 ed i primi mesi del 2011, il funzionamento dell’Assemblea della Siae viene paralizzato da un manipolo di facoltosi editori.

A questo punto, il Governo, pur essendo privo dei necessari poteri, interviene, azzera gli organi della società, a cominciare dall’assemblea e nomina al loro posto un commissario straordinario plenipotenziario, Gianluigi Rondi all’epoca ultranovantenne affiancandolo con due subcommissari, gli avvocati Mario Stella Richter e Luca Domenico Scordino.

La Siae è commissariata, la democrazia sospesa e il timone della società finisce saldamente nelle mani della gestione commissariale ed in quelle del Direttore Generale, Gaetano Blandini, grande regista dell’intera operazione e unico elemento di continuità tra il vecchio management della società, quello attuale e quello futuro.

Il Governo, nel decreto di nomina, affida al commissario straordinario il compito di adottare anche – ove necessario – alcune modifiche allo statuto ma la gestione commissariale va oltre ed in un pugno di mesi, mette a punto una bozza completamente nuova nella quale si ridisegnano le dinamiche di governo della società e si azzerano i suoi vecchi organi per sostituirli con un consiglio di sorveglianza ed un consiglio di gestione nei quali siederanno in pochi eletti da pochi.

La bozza del nuovo statuto è messa a punto in gran segreto, nessuna – o quasi – consultazione con gli associati e, persino, il rifiuto di condividerne il testo con la commissione parlamentare di indagine che, pure, negli stessi mesi sta cercando di far luce sulle ragioni del malfunzionamento della Siae.

Proprio in audizione, dinanzi alla commissione parlamentare, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Paolo Peluffo si dice perplesso sulla scelta di introdurre in Siae un modello di governance – quello duale nel quale un Consiglio di sorveglianza ed uno di gestione acquisiscono il controllo assoluto della società – mai sperimentato, in Italia, in nessun altro ente pubblico a base associativa.

Tutto va bene, invece, per il Ministro dei beni e della attività culturali, Lorenzo Ornaghi. E’ questa, alla fine, la tesi che prevale.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri si rimangia le sue perplessità e con un decreto del 9 novembre 2012, approva il nuovo statuto, certificando la bontà delle scelte operate dal Commissario straordinario e consegnando la Siae nelle mani dei più ricchi, perché è li che la società che fu di Verdi, Carducci e Verga e che oggi conta oltre centomila associati sta andando.

E’ un disegno criminoso di espropriazione di un pezzo della storia culturale del Paese che minaccia di compiersi il prossimo 1° marzo, data  nella quale, a pochi giorni dal varo del nuovo Statuto, ormai serena in ordine al risultato, la gestione commissariale ha convocato le elezioni per la nomina del Consiglio di Sorveglianza.

Solo i giudici – ai quali numerose associazioni rappresentative degli associati, editori ed autori si sono appena rivolte – possono scongiurare il rischio che questo perverso progetto si compia.

In difetto il risultato appare scontato.

All’assemblea degli associati parteciperanno un pugno di persone, perché è evidente che un associato che sa che il suo voto non conta nulla non sale su un treno o su un aereo per andare a votare a Roma e perché la gestione commissariale ha pensato bene, a ridosso della data del voto, di aumentare quasi del 70% le quote annuali di iscrizione alla società per gli autori e del 45% quelle per gli editori.

Chi non è in regola con il pagamento della quota associativa, naturalmente, non vota e, in tempo di crisi, ben pochi dei 100 mila iscritti alla Siae che, nella stragrande maggioranza non percepiscono alla fine dell’anno neppure un importo pari alla quota associativa che versano, la verseranno addirittura in misura più che doppia rispetto all’ultimo anno.

Come se non bastasse, il nuovo statuto, abolisce ogni forma di voto segreto con la conseguenza che i più piccoli che, naturalmente, lavorano con e per i più grandi, ben difficilmente avranno la forza di votare disattendendo le indicazioni di questi ultimi.

Il prossimo primo marzo, pochi voteranno e pochissimi – difficilmente di più di una quarantina di soggetti – decideranno chi dovrà entrare nella stanza dei bottoni della Siae e prenderne il comando, dettando le regole per gli oltre 100 mila associati.

E’ un ennesimo scandalo italiano.

Lo Stato affida ad un ente un ruolo centrale – di natura evidentemente pubblicistica – per la promozione e difesa del sistema artistico e culturale, amministrazioni dello Stato – in barba a qualsiasi gara pubblica – gli affidano la gestione di servizi che fruttano all’ente decine di milioni di euro (quasi 30 i milioni di euro che nel 2013 la sola Agenzia delle Entrate pagherà alla Siae per l’esercizio di alcune attività ispettive), autori ed editori non hanno, altra scelta, per colpa di un vacillante monopolio, che affidarsi alla Siae, poi, lo Stato stesso acconsente e, anzi, fa in modo che la Società finisca nelle mani di un manipolo di autori ed editori solo perché più ricchi degli altri.

Da quando arte e cultura si pesano solo in termini economici? La Siae – efficiente o inefficiente che sia – è di tutti ed a tutti deve spettare governarla.

(Sono l’avvocato che assiste i ricorrenti nel ricorso dinanzi al Tar)

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