“Il sottoscritto Sergio Blasi in pieno e assoluto dissenso con il gruppo dirigente nazionale del Pd, per aver tradito lo spirito delle primarie e aver invaso le liste pugliesi di “immigrati dal Nord”, si dimette irrevocabilmente dalla carica di segretario regionale della Puglia”. Con una lettera consegnata alle 2.45 di questa mattina, nel Partito democratico pugliese esplode la protesta. Che poi rientra dopo una precisazione dello stesso Blasi, che in una nuova nota non parla più di dimissioni irrevocabili e sottolinea come il “lavoro con Bersani” sia stato “costruttivo”. Insomma, ci ha ripensato. Ma il gesto di protesta e tutto quello che ne consegue restano. 

Che il braccio di ferro tra i segretari regionali e la direzione nazionale del Pd fosse una prova di forza, non v’era dubbio. Ma che facesse rotolare – seppur spontaneamente – qualche testa, forse non era stato messo in conto. Ma il nodo liste è una partita che non ammette sconti. E Sergio Blasi sapeva che il vertice bilaterale convocato nottetempo non sarebbe stata una passeggiata e non sarebbe certo finito con un brindisi. Il nodo della questione è la quota di nominati (otto) imposti da Roma nelle liste. “Troppi” per il segretario dimissionario, “pochi” per la direzione nazionale. A inasprire le posizioni, l’intenzione di Roma di piazzare i “suoi” in posizioni che garantiscano l’accesso sicuro al Parlamento. 

La direzione regionale pugliese del Pd, riunitasi il 6 dicembre, aveva deliberato la proposta di liste, assicurando al nazionale i due capolista (Franco Cassano apprezzato sociologo barese alla Camera e Anna Finocchiaro già capogruppo del Pd al Senato) più il diciassettesimo, diciottesimo e diciannovesimo posto a Montecitorio, e al secondo e all’ottavo a Palazzo Madama. Nel vertice notturno, i dirigenti romani dopo aver “apprezzato la caratura delle liste” hanno comunicato che “le esigenze sono altre purtroppo”. Quindi i posti blindati alla Camera dal team di Bersani devono necessariamente essere il primo, il terzo, il sesto, il decimo e il quattordicesimo. Questo si traduce con lo slittamento in fondo alla lista di chi, anche tra gli uscenti, si è messo alla prova con le primarie per testare il consenso nel territorio di appartenenza.

E’ a questo punto che l’ira di Blasi è montata fino ad esplodere con le dimissioni. “La priorità – ha detto – sono le primarie del 30 dicembre; il risultato ottenuto dai pugliesi non può rischiare di essere vanificato. In questo modo si invadono le liste pugliesi di immigrati dal Nord”. Di fronte all’irremovibilità dei romani, la risposta è stata la lettera di dimissioni. Irrevocabili per altro, ammesso che nelle ultime ore di trattativa, da largo del Nazareno non arrivi un dietrofront. E forse in tal senso va interpretata la precisazione di Blasi. “In merito al confronto che si è tenuto la scorsa notte tengo a precisare che ai dirigenti nazionali del Partito ho illustrato e sostenuto le indicazioni approvate all’unanimità dalla direzione regionale del PD pugliese” ha scritto il segretario pugliese, secondo cui “nel corso di tale incontro ho anche ipotizzato un mio possibile passo indietro. Il confronto è proseguito positivamente con la valorizzazione del risultato delle primarie e della qualità delle proposte venute dal territorio grazie al lavoro costruttivo svolto con il gruppo dirigente nazionale e, in particolare, con Pierluigi Bersani”. Cambiano i toni. E cambiano anche le parole, visto che le dimissioni “irrevocabili” diventano un “possibile passo indietro“. Impossibile, inoltre, confrontare le due prese di posizione di Blasi: il sito internet del Pd Puglia, infatti, è stato off line per quasi tutto il pomeriggio. Solo una coincidenza?

Fatto sta che a trarre vantaggio dalla linea romana sarebbero alla Camera, il vice presidente del Pd Ivan Scalfarotto, la senatrice uscente Francesca Marinaro, i deputati uscenti Paola Concia e Alberto Losacco,  l’ex sindaco di Alberobello in quota socialista Bruno de Luca; balzarebbero più su rispetto alle attuali posizioni. Per contro a farne le spese sarebbero l’avvocato leccese Fritz Mazza, il parlamentare tarantino Ludovico Vico, la collega barese Margherita Mastromauro che slitterebbero in zona Cesarini. Per non parlare di altri nomi proposti dalla segreteria regionale del Pd, ovvero il rettore dell’università di Bari Corrado Petrocelli, il presidente della fondazione “La Notte della Taranta” Massimo Bray e il direttore della Gazzetta del Mezzogiorno Giuseppe De Tomaso. La stima, del resto, è di 19 eletti alla Camera e 9 al Senato.

Il “caso Puglia” rischia di esplodere anche nelle altre regioni. Gli attriti tra i “locali” e i capitolini sono comuni. A essere contestato è il metodo unico utilizzato per garantire un posto ai “paracadutati” da Roma che in totale sono un centinaio in tutta Italia. La quota nazionale equivale al 10 per cento del totale dei candidati. In Puglia ad esempio, oltre ai capolista, i nominati dovrebbero essere quattro su 42 candidati alla Camera, e due su 22 al Senato. E questo non va giù perché si traduce con il dover mettere a rischio l’elezione di chi è passato dalla strettoia delle primarie.

I malumori sono scoppiati anche in Sicilia dove è stato chiesto di ridurre alla metà il numero dei nominati – da 11 a 6 – e nel Lazio 2. Ma per ora le uniche dimissioni sono quelle del segretario pugliese, tra l’altro l’unico finora ad aver rinunciato alla candidatura sicura nel listino bloccato di Bersani. Il leader nazionale Pierluigi Bersani ha fatto sapere di essere lui a dover dire l’ultima parola sulle liste. A lui il compito di sciogliere tutti i nodi e terminare la battaglia con meno feriti possibile.

modificato da Redazione web alle 17.45 dell’9 gennaio 2013

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