La prima domanda è perché non li ho collezionati, con tutte le porcherie di cui ho fatto la raccolta nella vita. È una di quelle questioni di cui conosco già la risposta, inutile accanirsi, inutile promettersi che da domani mi getterò su eBay e comincerò a riempirmi casa di questi piccoli libri dalla rilegatura ineccepibile. Ormai è tardi, è passato il tempo di tornare sulle scelte compiute. Anche su quelle sbagliate, soprattutto su quelle sbagliate.

Mi chiedo piuttosto quanti editor e direttori di collana andranno a vedere la mostra Giulio Einaudi. L’arte di pubblicare, aperta con ingresso gratuito fino al 13 gennaio 2013 a Palazzo Reale a Milano; gran parte della quale è dedicata all’esposizione del catalogo I Coralli, la più nota collana letteraria della casa editrice torinese. Difficile che vengano, per impararne, coloro che fino a qualche mese fa si arrovellavano su un futuro della letteratura che pareva loro non prescindere da David Foster Wallace o Roberto Bolano. Ah, la vecchia facile dialettica… Se non è bianco è nero, se non è zuppa è pan bagnato, se non è Wallace è Bolano, se non è Italo Calvino è Pier Paolo Pasolini. Facile separare. Più difficile tenere insieme. I vecchi Coralli tenevano insieme Calvino, Arpino e Arbasino, e non solo per la facile rima, magari alternandoli a Leonardo Sciascia, qui sempre scomodo ma scomodo per davvero mai. Proponevano un’idea di letteratura che era la somma di idee dialoganti, e così la collana poteva pubblicare tutto e il suo contrario, senza smentirsi, senza invalidarsi, senza snaturarsi.

Ci fosse oggi una collana così, tutti la cercherebbero, ognuno la vorrebbe propria. Niente è più disarmante per uno scrittore che essere etichettato per ciò di cui è la negazione. E questo vale anche per un lettore, a dire il vero. Uno scrittore che è la negazione di qualcosa rischia di esserlo di un tutto, non solo di una parte parte. E non va bene. Di qui anche la forza dei Coralli, quella di una collana che procedeva per affermazioni successive, mai per negazioni. Un esempio senza neanche che vi debba spiegare perché? Aleksandr Solženicyn. A capo.

Mi chiedo cosa succederebbe oggi, se ci fosse una collana come i vecchi Coralli di cui ammiro la grazia sobria appesa a queste pareti alte. Paradossalmente, credo che non sarebbe difficile pubblicarvi; di certo più facile delle tante collane capestro che si editano in Italia. Facile a patto di avere occhi capaci di guardare e la voce giusta per raccontare. Queste sembrano essere le uniche richieste dei Coralli ai loro scrittori: sguardo e voce, che poi – neanche a dirlo – sono la sintesi della scrittura. Quanto a quelle che fanno oggi, difficile pronunciarsi. Grande è la confusione sotto il cielo. Più facile scartare una alla volta le qualità, per il resto proseguendo a occhi chiusi. Si rischia di sbattere ma se si va piano, come effettivamente si va, un gran male non ci si fa. Almeno in apparenza perché il solco che si traccia dentro è un solco di dolore inespresso, e se alla letteratura non si concede neppure la possibilità di esprimere il dolore, allora le si toglie l’essenza, l’autorevolezza, e finalmente la ragione di essere.

 

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