Il primo buddista a entrare al Senato. Il primo indù a entrare al Congresso. Soprattutto, il primo deputato della storia americana che sulla scheda personale, alla domanda sull’affiliazione religiosa, risponde: “Nessuna”. Sono molte le sorprese riservate in tema di religione dal 113esimo Congresso Usa, riunitosi in prima seduta giovedì scorso. Le ha analizzate ed esposte in un rapporto il “Pew Forum on Religion and Public Life”, un gruppo di ricerca indipendente, e il risultato appare interessante soprattutto per due aspetti. Da un lato, anche il Congresso Usa, come la società americana, è sempre più ricco e sfumato quanto ad appartenenze religiose. Dall’altro, i non credenti sono in crescita in un organismo politico in cui la religione ha sempre avuto un ruolo centrale.

Soltanto 50 anni fa, il Campidoglio americano era per almeno tre quarti composto di deputati e senatori appartenenti alle diverse confessioni protestanti. Tra i 533 membri che hanno giurato la settimana scorsa ci sono invece 163 cattolici, più del 30% del totale. Il dato conferma il ruolo sempre più decisivo svolto dagli ispanici nella politica e nella società americana. In calo invece protestanti ed ebrei, due gruppi su cui si è per decenni imperniata la vita della Washington politica. I protestanti perdono nel 113esimo Congresso otto tra deputati e senatori, rispetto al mandato precedente. Segno negativo anche per gli ebrei. Erano 39 nel Congresso precedente; sono 33 oggi. Stabili invece i mormoni, che portano a Washington gli stessi 15 membri (il 3% del totale), segno che la sfida elettorale di Mitt Romney non ha funzionato da traino.

La nuova configurazione religiosa del Congresso riflette del resto quanto sta accadendo, più in generale, nella società americana. Un rapporto dell’ottobre scorso, redatto sempre dal “Pew Research Center”, mostra che i protestanti, per la prima volta in due secoli, non sono più la maggioranza degli americani. Costituiscono infatti il 47% della popolazione, contro il 53% del 2007. Il dato politicamente rilevante è che sono i repubblicani a raccogliere il maggior numero di protestanti. Sette repubblicani su dieci appartengono infatti a qualche confessione protestante, a conferma del fatto che il Grand Old Party è oggi il partito che più si identifica con la “vecchia America”.

Ciò che ha sollevato più interesse a Washington è comunque il fatto che quest’anno, per la prima volta, entra al Congresso un americano che si dichiara apertamente non credente. Si tratta di Kyrsten Sinema, 34enne democratica dell’Arizona, avvocato di Phoenix particolarmente attenta ai temi ambientali e ai diritti delle donne e dei gay. La Sinema, in realtà, non è l’unico membro del Congresso a prendere le distanze dalla religione. Altri dieci tra deputati e senatori, alla domanda sulla loro confessione, hanno preferito definirsi “non affiliati”. La democratica è però l’unica a proclamare apertamente la propria indifferenza alla religione, come d’altra parte aveva già fatto durante una campagna elettorale particolarmente “cattiva” in Arizona. Allora il suo rivale, il repubblicano Vernon Parker, l’aveva accusata di praticare “riti pagani”. Lei aveva risposto di credere “in un approccio laico al governo”.

La presa di posizione della Sinema – e degli altri dieci “non affiliati” – è particolarmente importante perché supera uno dei tabù più profondi e resistenti della politica degli Stati Uniti, un Paese nato dallo spirito religioso in cui, come scrisse Alexander Hamilton, i valori sono prodotti dalle Chiese e non dal governo e dove, con l’ascesa dei movimenti conservatori degli ultimi decenni, i politici sono stati sempre più attenti a mostrare la loro particolare sensibilità religiosa. Destò per esempio particolare scalpore nel 2007 il caso di Pete Stark, democratico della California, che si definì un “unitariano che non crede in un essere supremo”. L’affermazione fu subito fatta propria dagli atei americani, che proclamarono Stark il primo non credente del Congresso Usa.

Kyrsten Sinema e i suoi dieci colleghi possono invece oggi esibire opinioni simili senza per questo subire alcun pubblico processo. Il fatto, tra l’altro, riavvicina il Congresso alla società americana, che negli ultimi decenni ha subito un processo di lenta ma continua laicizzazione. Sempre secondo il rapporto del “Pew Research Center”, un americano su cinque si definisce “ateo, agnostico o niente in particolare”.

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