Capodanno di nazionalizzazioni in Bolivia. Questa volta Evo Morales non ha scelto la data simbolica del primo maggio per annunciare l’esproprio di un’impresa privata. E’ stato alla fine dell’anno, insieme agli auguri per un “2013 feliz” che il presidente boliviano ha deciso di rendere pubblica la distribuzione dell’energia elettrica nella capitale. Nazionalizzata la Iberdrola, impresa spagnola che gestisce la distribuzione elettrica nella zona di La Paz e nell’area mineraria di Oruro.

Il governo l’accusa di mantenere tariffe troppo alte nelle zone rurali dell’altipiano (tariffe doppie rispetto alla città), dove portare l’elettricità costa di più. “Siamo stati obbligati a prendere questa misura – ha detto Morales parlando a Cochabamba, zoccolo duro del sindacalismo a lui fedele, l’area in cui prende più voti – è l’unica maniera per far sì che le tariffe del servizio siano giuste e la qualità uniforme in tutto il Paese. Abbiamo trattato per quattro mesi con l’impresa, l’abbiamo pregata di assumere la sua responsabilità sociale come azienda, non l’ha fatto e noi siamo costretti a prendere misure per tutelare il nostro popolo”. Nei punti strategici della distribuzione di elettricità, a la Paz e a Oruro, sono stati mandati 740 poliziotti.

Gli spagnoli sono furiosi. E’ la seconda nazionalizzazione in otto mesi. A maggio era toccato all’azienda di trasporti Red Eléctrica, anch’essa spagnola, non ancora indennizzata. Ufficialmente l’impresa tace, aspetta di conoscere i dettagli del decreto di nazionalizzazione. Ha fatto solo sapere di aspettarsi un indennizzo che “paghi il valore reale dell’azienda”, che potrebbe aggirarsi attorno ai 75 milioni di euro. Di solito le imprese in questi casi sono prudenti. Sanno che puntare i piedi non serve, se non hanno raggiunto un accordo prima dell’esproprio. Aspettano che passi la fase calda della propaganda governativa per tornare a trattare e, alle brutte, ricorrono alla Corte dell’Aja. Per adesso gli spagnoli dicono di voler aspettare i 180 giorni fissati dal decreto perché un esperto, teoricamente indipendente, stabilisca l’ammontare dell’indennizzo. Iberdrola opera in Bolivia attraverso la holding Iberbolivia de Inversiones, di cui possiede il 64%. Iberbolivia de Inversiones possiede l’ 89,5% delle azioni di Electropaz, impresa di elettricità di La Paz, nella quale ha partecipazioni anche il Banco Santander.

La viceministra dell’energia Hortensia Jiménez ha promesso che dopo la nazionalizzazione le tariffe si ridurranno fino al 50%. Con quest’esproprio l’intera gestione dell’energia elettrica in Bolivia, dalla produzione fino alla distribuzione, passa in mano alla statale Empresa Nacional de Electricidad. Quattro imprese di produzione dell’elettricità, comprese due filiali della francese Gdf Suez e dell’inglese Rurelec, sono state espropriate nel 2010. Entrambe sono ricorse alla Corte dell’Aya.

La confindustria locale rimprovera a Morales di aver annunciato questa decisione proprio mentre si sta discutendo una nuova legge per attrarre gli investimenti stranieri. Da quando è stato eletto la prima volta, nel 2006, Morales ha portato avanti con calma, ma con costanza, una politica di recupero delle imprese (soprattutto di servizi) privatizzate durante gli anni Novanta, il decennio delle grandi svendite dei patrimoni pubblici in America Latina.

Nel 2008 toccò anche all’Entel, controllata dall’italiana Telecom. Il decreto che la nazionalizzò portava il numero 29544. Il capitale italiano era in Entel da dodici anni. Entrò nel 1996 durante il sontuoso piano di privatizzazioni lanciato dall’allora presidente Gonzalo Sanchez de Lozada, poi travolto da una serie di rivolte popolari. Il modello fu quello della capitalizzazione: imprese private investirono capitale nelle aziende statali in vendita ottenendo in cambio il 50% delle azioni di proprietà e il diritto all’amministrazione dell’azienda capitalizzata. Nella stessa maniera furono vendute molte delle imprese statali dal governo de Lozada: quelle che si occupano dello sfruttamento dei giacimenti di gas (principale risorsa del Paese, nazionalizzata nel 2006 da Morales), le ferrovie e la compagnia di bandiera Lloyd aereo boliviano.

Entel era una delle imprese migliori della Bolivia. Quasi cinquanta milioni di dollari di profitto nel 2006. Controllava il 68% della telefonia fissa, il 67% di quella cellulare e il 90% dei servizi Internet.

A fare l’affare con Sanchez de Lozada fu la Stet, poi Telecom, che per 610 milioni di dollari comprò il 50% delle azioni di Entel. Un 6% fu comprato da investitori minori e il 44% restò statale, ma passò sostanzialmente in mano di due fondi pensione (uno del gruppo spagnolo Bbva e l’altro altro della svizzera Zurich).

La prima e più eclatante nazionalizzazione è stata quella degli idrocarburi, biglietto da visita con cui Morales si presentò al mondo, il primo grande atto del suo governo nel primo maggio del 2006. Da lì, una lunga serie di tavoli di contrattazione con varie imprese straniere per fissare nuove tariffe nello sfruttamento delle immense risorse minerarie boliviane. Ad ottobre di quello stesso anno, fu statalizzata la produzione di stagno nell’area di Huanuni. Nel febbraio del 2007 tocca alla fonderia svizzera Vinto.

Nella primavera del 2008 a quattro filiali della spagnola Repsol, dell’Ashmore e British Petroleum (inglese) e del consorzio peruviano-tedesco Compagnia logistica degli idrocarburi. Sempre in quei mesi la Bolivia recupera il controllo degli idrocarburi estratti dalla Panamerican Energy (proprietà British Petroleum), quelli dell’Andina, filiale della spagnola Repsol, e quelli della Transredes, controllata dall’olandese Shell.

Solo la Repsol riesce a firmare un accordo con lo Stato boliviano per gestire in compartecipazione il mercato degli idrocarburi (la Bolivia è ricchissima di gas). Nel febbraio del 2009 espropriati 36mila ettari di aziende agricole accusate di far lavorare in stato di schiavitù indigeni guaranì. Poi arriva l’ondata della nazionalizzazioni del settore elettrico. Per l’esproprio avvenuto due anni fa dell’impresa Corani, proprietà della francese Suez sono stati pagati nell’ottobre del 2011 18 milioni e mezzo di dollari.

Articolo Precedente

Siria, 60mila i morti da marzo 2011. Ancora una strage: almeno 70 vittime

next
Articolo Successivo

Usa, dal fiscal cliff al bando delle armi: sfide, successi e rischi per Barack Obama

next